Ricordo una tenera sera di giugno a Genova, Don Andrea Gallo seduto a tavola, Gesù allegro e intorno la compagnia dei suoi ragazzi, apostoli raccolti laceri e perduti sulla strada che si erano fatti cuochi e sommelier nella straordinaria trattoria ’A Lanterna, che avrebbe potuto avere come insegna: entra, la mia fede li ha salvati.
Era un nostro grande amico, il Don. Ci aveva battezzati quando nessuno scommetteva sul nostro piccolo giornale un euro bucato. E un po’ ci prendeva in giro recitando beffardo un paternoster tutto suo: “e dacci oggi il nostro Fatto Quotidiano”. Era una festa Don Gallo, e a chi era cresciuto nella plumbea scuola dei preti normali, delle omelie sulle nuvole, del peccato incombente, delle penitenze biascicate, gli apriva proprio il cuore questo prete così diverso da non essere prete, ma fratello, amico, confidente, consolatore come il Cristo che ti apre le braccia e mai ti giudica.
Ama e fai ciò che vuoi: non recitava Sant’Agostino, ma lo viveva Don Gallo quell’amore non capriccio ma bene assoluto per il prossimo. E nella Comunità, caotica spelonca tenuta insieme da caritatevoli collinette di pacchi alimentari e di vestiti smessi e di libri consumati e di fatture da pagare, aspettavano tranquilli i trans senza parrucca e i tossici dagli occhi stanchi. Aspettavano di essere ammessi dove un sorriso ornato da un mezzo sigaro spento li avrebbe fatti sentire di nuovo umani.
Ti aspettavamo anche noi, Don, alle nostre feste, tu instancabile sul palco, su e giù a parlare di Resistenza e di Costituzione, il tutto impastato di Vangelo, Bella Ciao e qualche irriverenza sui cardinaloni perché, dicevi, alla fin fine è questo il nostro sillabario. Ti devo quella sera a Genova, Don, e altre sere ancora a parlare del senso della vita. Ricordi De Andrè? Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.