Mai come quest’anno, il festival antimafia che a Palermo va sotto il nome di “Falconeide” (così è stata ribattezzata l’annuale celebrazione in ricordo della strage di Capaci e della sua vittima più illustre) è apparso come un fastoso rituale dai toni surreali, più che mai infarcito di dichiarazioni al limite della schizofrenia. Dalle Navi della Legalità (attraccate a Palermo con Maria Falcone e il presidente del Senato Piero Grasso), alle poltroncine verdi dell’aula bunker (dove si è tenuta la consueta lezione antimafia con il premier Enrico Letta, il suo vice Angelino Alfano e altri vip delle istituzioni), per finire in via Notarbartolo all’albero Falcone, sotto l’abitazione del giudice, il ritornello della retorica di Stato che ha celebrato il XXI anniversario dell’attentato sull’autostrada è stato uno solo: la memoria e il valore della memoria, unico strumento capace di restituire un senso al sacrificio degli eroi in borghese della Prima Repubblica.
Peccato che trattasi, anche quest’anno, di memoria buona solo ed esclusivamente alle passerelle antimafia, come ha rilevato pochi giorni fa il pm Nino Di Matteo che ha toccato con mano le tante amnesie istituzionali nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia: “Per tanti, i magistrati sono da onorare solo da morti; siamo stanchi dell’ipocrisia di chi, quando erano in vita Falcone e Borsellino, non esitava a definirli ‘giudici politicizzati’, mentre, dopo che sono morti finge di onorarli. E’ un falso storico”.
Tra canti, fiaccole e palloncini, infatti, è stato un vero trionfo dell’ipocrisia istituzionale. A partire dal messaggio di Giorgio Napolitano, che appena un anno fa ha trascinato i pm di Palermo davanti alla Consulta per coprire le sue conversazioni telefoniche con Nicola Mancino, imputato nel processo sul dialogo tra Cosa nostra e le istituzioni. “L’Italia – ha dichiarato Napolitano – fu colpita nelle persone di suoi servitori eccezionali, di grandi magistrati, di autentici eroi che sacrificarono la loro vita per la legalità e la democrazia”. Non meno impettito il premier Enrico Letta che ha dichiarato come la “lotta alle cosche deve essere sempre l’obiettivo principale”: mentre in tema di mafia e antimafia, a Roma, da quando si è insediato a Palazzo Chigi, se ne vedono di cotte e di crude. Dalla nomina a sottosegretario di Gianfranco Micciché (il pupillo di Marcello Dell’Utri, condannato tre volte per mafia a Palermo: l’ultima, in appello, a 7 anni) alle “marachelle” di Nitto Palma che, qualche giorno prima della nomina a presidente della Commissione Giustizia del Senato, si è recato nel carcere di Secondigliano, per far visita a Nicola Cosentino, arrestato per rapporti con la Camorra. I due non sono apparsi per nulla imbarazzati. “Se sono risorto – ha esclamato un entusiasta Micciché – è grazie a Marcello”. E Palma, serafico: “Sono convinto che gli elementi a carico di Nicola non siano sufficienti ad una condanna”.
Ma a Palermo la liturgia antimafia del 23 maggio non si tocca: e così i vip istituzionali della “Falconeide” hanno ricordato la strage di Capaci riempendosi la bocca di una parola cruciale: la memoria. “Il giorno dell’uccisione di Falcone – ha rievocato commosso il ministro dell’Interno Angelino Alfano – ha cambiato il mio modo di concepire l’attività pubblica”. Eppure il suo partito è lo stesso che pochi giorni fa ha proposto non solo la limitazione delle intercettazioni. Non solo il ritorno della legge bavaglio. Ma anche il dimezzamento delle pene per il concorso esterno in associazione mafiosa, inventato proprio da Falcone e Borsellino: una proposta che pare confezionata su misura proprio per Dell’Utri. E qui la contraddizione diventa quasi schizofrenia.
Inutilmente Maria Falcone ha messo le mani avanti, dicendo che “il 23 maggio non è vuota passerella”. La “Falconeide” è un festival della memoria, ma di quella memoria a intermittenza che è tipica dei professionisti della “doppia morale istituzionale“, come i pm di Caltanissetta, nella ricostruzione della trattativa Stato-mafia, hanno definito i politici bravi a celebrare su un palco gli eroi dello stragismo, ma incapaci davanti agli inquirenti di fornire un minimo contributo alla ricostruzione giudiziaria del biennio ’92-’93.
Dispiace per la buona volontà di Maria Falcone: ma finché la memoria istituzionale sarà esclusivo privilegio di defilé mediatici, regolati da star del buonismo televisivo del calibro di Fabio Fazio, finché la memoria istituzionale non avrà lo stessa sacralità nei verbali giudiziari sullo stragismo del ’92-’93 e sulla trattativa Stato-mafia, la “Falconeide” – e le analoghe manifestazioni che fanno spettacolo dell’impegno antimafia – non potrà essere altro che quello che oggi (tristemente) appare: una sfilata di virtuosi dell’ipocrisia di Stato che forse non fanno parte, come sostiene Beppe Grillo, “dello stesso governo che ha ucciso Falcone e Borsellino”, ma di certo sono parte integrante della stessa classe politica senza scrupoli.