Da Mantova al Salento, dall’alta finanza lombarda ai piccoli interessi di bottega pugliesi. È deragliato, forse è stato fatto deragliare, su questo binario il treno degli affari di una delle tre aziende più importanti d’Italia nel settore della manutenzione ferroviaria, l’Omfesa di Trepuzzi, in provincia di Lecce. Ha prima licenziato 104 dipendenti e poi è fallita, lo scorso 22 marzo. Su questa strana disfatta, adesso, inizia ad affinare la lente d’ingrandimento la guardia di finanza di Lecce, già delegata ad indagini relative alla stessa società e riguardanti presunti mancati versamenti contributivi. L’inchiesta inizia ad allargarsi. E promette di ingrossare il fascicolo per appropriazione indebita già aperto a settembre, al momento a carico di ignoti, ma che il procuratore capo Cataldo Motta ha voluto rimanesse nelle sue mani. È alla sua porta che continuano a bussare, anche in questi giorni, gli operai rimasti senza lavoro. È a lui che si sono affidati, come fosse l’ultimo santo al quale votarsi. Il sospetto serio è che finora, sulla loro pelle, sia stata recitata una farsa.
Non è questa la solita storia di un’azienda che non ha lavoro o che ha delocalizzato all’estero. Omfesa è morta, nonostante avesse in portafoglio 27milioni di euro di commesse appaltate da Trenitalia e nonostante l’ultimo bilancio chiuso in attivo. E’ morta, sebbene tutta la rappresentanza parlamentare salentina e la Prefettura di Lecce siano scese in campo per salvarla. “Stretta creditizia”. È stata questa la spiegazione ufficiale che ha accompagnato l’apertura delle procedure concorsuali. Serviva un prestito da 1,9milioni di euro per acquistare materie prime. Dopo un primo sì, a ottobre è arrivato il dietrofront di quattro banche. E amen. La colpa è stata addossata tutta a loro. Oltre che agli stessi lavoratori, che avevano osato raccontare i propri dubbi a Motta. Una situazione kafkiana, che adesso inizia a sbattere contro le anomalie contenute nei documenti ufficiali portati alla luce. Quelli, ad esempio, relativi alla cessione delle quote societarie.
Fino alla scorsa estate, le “Officine meccaniche ferroviarie del Salento” erano in mano ai Pacchioni di Mantova, noti imprenditori del settore, proprietari della Ci.ma. Riparazioni spa, coinvolti nel processo per la strage di Viareggio, traghettatori della Banca agricola mantovana all’interno di Mps. Nel luglio 2012, hanno ceduto quasi tutte le loro quote, tranne una da 19mila euro, a chi, per dieci anni, è stato presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda: Ennio De Leo. Commercialista, già assessore al bilancio del Comune di Lecce, esponente di punta della giunta allora guidata dall’ex senatrice Adriana Poli Bortone, coinvolto negli scandali finanziari più importanti della città, dai Boc a Via Brenta. Dopo il suo subentro nella proprietà, per Omfesa è stato il tracollo. Sul perché spetterà agli inquirenti fare luce. Ciò che è certo è un dato: 1.750 euro. E’ a questa cifra choc che i Pacchioni gli hanno ceduto quote societarie del valore di 2.353.165 euro. 345volte in più rispetto a quanto sono state acquistate. A quel prezzo stracciato, otto mesi prima della dichiarazione di fallimento, ma pochi giorni dopo l’approvazione di un bilancio perfetto, sono stati svenduti capannoni, terreni, macchinari, crediti, commesse. Il compito di De Leo sarebbe stato quello di “ponte per la vendita dell’azienda a nuovi acquirenti”.
La storia è andata in altro modo. Omfesa è morta e ha fatto ben poco per salvarsi. Decisamente troppo fragili le due proposte di concordato depositate in Tribunale. Perché? Forse una risposta l’ha data lo stesso proprietario, quando, negli ultimi giorni, ha svelato incautamente la costituzione già avvenuta, su suo impulso, di una “newco”. Questa nuova società avrebbe dovuto rilevare la parte buona dell’azienda, lasciando al commissario del Tribunale la gestione dei debiti. Nelle intenzioni, il licenziamento dei lavoratori sarebbe stato funzionale a questo: la newco li avrebbe riassunti, “godendo degli sgravi contributivi”. Non è escluso che la stessa nuova società, sempre per ammissione di De Leo, si ripresenti “per chiedere l’affitto del ramo d’azienda, per poi eventualmente rilevare, se non al primo, al secondo o terzo incanto, l’intera Omfesa”. “Un piano allucinante e spregiudicato”, secondo l’ assessore al Lavoro della Regione Puglia, Leo Caroli, che ha in mano la patata bollente della vertenza operaia.