Per lasciare l’Italia ha dovuto aspettare di compiere diciott’anni. Non vedeva l’ora di andare via, scappare dalla periferia romana grigia e caotica dove “l’autobus non passa mai, la gente critica tutto e dice che ogni cosa fa schifo”. Oggi, a 30 anni, Fabiana Eramo ha trovato la sua dimensione ideale in una favela di Rio de Janeiro. “Anche qui le cose non funzionano anzi – spiega – qui la situazione è decisamente peggiore, acqua e luce oggi ci sono, domani forse no. Ma c’è una grande differenza, che questa gente non si lamenta, è felice di quello che viene ogni giorno e quello che ha se lo gode”.
Per capire la vera ragione che l’ha spinta a lasciare l’Italia, Fabiana ha dovuto attraversare due continenti: prima l’Europa, passando da Londra, dove è rimasta un anno a lavorare come cameriera e commessa, poi la California per proseguire gli studi. “A tredici anni ero stata a Los Angeles da mio zio e lui per caso mi aveva portato a visitare il campus della Ucla (University of California, Los Angeles, ndr). È stato un colpo di fulmine, mi sono detta: ‘Un giorno studierò qua’”. Rimane in California fino al 2006 anno in cui si laurea in sociologia e scienze politiche internazionali perché il suo progetto è entrare a lavorare nelle Nazioni Unite. Due mesi di vacanza a Rio de Janeiro sono sufficienti a farle cambiare radicalmente idea.
“La prima cosa che mi ha colpito del Brasile è stata la semplicità. Ero in un’area della periferia molto povera dove la gente non aveva niente e quel poco che aveva te lo dava. Il giorno che sono andata via da Rio ho pianto, non volevo tornare negli Stati Uniti, ma avevo ancora un anno prima che mi scadesse il visto e desideravo vedere New York”. E rimane lì un anno in cui lavora come una forsennata per mettere da parte i soldi e tornare a sud. Poi riparte, certa che la destinazione questa volta è quella definitiva. “In questi sei anni vissuti in Brasile ho capito che ciò che mi disturbava di più dell’Italia, il vero motivo che mi ha spinto a partire, non era l’assenza di servizi e di strutture, ma l’atteggiamento della gente, l’attitudine generica al lamento quando in realtà le cose ce le hai. I brasiliani dicono che chi si lamenta lo fa perché ha la pancia piena”.
A stringere ancora di più il suo legame con la cultura del posto è arrivata anche la danza afro-brasiliana. “Ho iniziato con la pratica e poi sono passata alla teoria, ho frequentato un master di antropologia perché volevo saperne di più. Oggi dopo sei anni continuo a studiare, a praticare, a formarmi, è una cosa che mi riempie totalmente la vita. La verità è che qui smetti di fare quello che hai sempre fatto per occupare le giornate e inizi a essere, parli con la gente, vai al mercato a comprare la verdura e torni a casa felice di cucinarla. Tutte cose che negli altri paesi non facevo perché non avevo il tempo”. Per riempire le sue giornate e guadagnare i soldi necessari a mantenersi Fabiana lavora come traduttrice e insegnante d’inglese. Segue anche un corso per interpreti che le servirà a trovare lavoro durante i Mondiali del 2014 e delle Olimpiadi del 2016, due eventi di dimensioni planetarie che attireranno sul Brasile l’attenzione del mondo. “Mi dispiace dirlo, come dispiace alla gente di qua, ma Rio è già un’altra città. È diventata molto più cara, ci sono cantieri ovunque, nuove linee della metropolitana e un’unità di polizia – la Upp (Unidade de Policia Pacificadora) – istituita dal governo per eliminare la povertà e il traffico di droga e armi nelle favelas. Ma è un’operazione di facciata, in realtà non è cambiato molto, solo il costo della vita è salito”. Lei però non andrà via dal Brasile perché quella cultura ormai le è entrata dentro, un’energia che batte come il tamburo che accompagna e scandisce le sue danze.