TOKYO – Sembrava una mattina come tutte le altre. Con l’indice Nikkei, aumentato del 70% negli ultimi sei mesi, in netta crescita, +2%. Poi, improvvisamente, il crollo. Le dichiarazioni ambigue di Bernanke, responsabile della federal reserve, I dati, non positivi ma certo non drammatici, sul lieve calo della produzione manufatturiera in Cina, dove il relativo, indice HSBC è sceso, per la prima volta dopo sette mesi, sotto il 50%. Notizie non positive, ma che non giustificano il vero e proprio panico scatenatosi a Kabutocho, sede della borsa di Tokyo, con l’indice che in poche ore ha perso quasi il 10%.
Alla fine il Nikkei ha chiuso a -7,3%, perdendo oltre 1000 punti. C’è chi parla di tsunami e non a torto: un crollo del genere non si verificava dall’11 marzo 2011, appunto, quando il Giappone fu colpito dall’onda anomala e dall’emergenza nucleare.
Evidentemente, come osservano già molti commentatori, c’è dell’altro. Potrebbe essere il primo, preoccupante segnale di allarme contro l’Abenomics, la coraggiosa – anche se qualcuno la definisce folle – politica espansiva decisa dal governo di Shinzo Abe e imposta – dopo averne cambiato senza tanti scrupoli l’intero vertice e posto al comando un uomo di sua fiducia, Haruhiko Kuroda – alla Banca del Giappone. Una politica che si fonda sul raddoppio della massa monetaria con un’inflazione programmata del 2% e che sino ad oggi avevo messo le ali alla borsa. Più sulla base delle aspettative però, che di fatti reali. Ma il mercato ha già dato il primo segno di perplessità, e nonostante proprio ieri il governatore della Bamca Centrale Kuroda avesse garantito che la politica di espansione non avrebbe provocato un aumento degli interessi – tradizionalmente bassi – sui titoli pubblici giapponesi, garantendone la tradizionale, “obbediente” sottoscrizione, questi sono oggi saliti per la prima volta oltre l’1%. Segno che anche gli investitori giapponesi istituzionali non sono proprio convinti dell’Abenomics e che lo stato deve prepararsi a pagare di più per finanziare il debito pubblico, che al 240%, il doppio di quello italiano, è già il più alto del mondo industrializzato.