Nel mondo, la prima causa di morte per le donne fra i 16 e i 44 anni è l’omicidio: perpetrato da persone note alla vittima, cioè fidanzati, mariti, familiari. E in Italia, come apprendiamo dalla cronaca quotidiana, questi omicidi sono frequentissimi: nel 2012, secondo i dati raccolti dalla Casa delle donne di Bologna, ci sono stati 124 casi di femminicidio.
Con questi numeri, con quelli delle innumerevoli altre donne pestate, violentate, umiliate (nel corso della loro vita oltre metà delle donne è stata oggetto di molestie sessuali, di un ricatto sessuale sul lavoro o di una violenza tentata o consumata), con la sofferenza che si portano dietro, è d’obbligo passare dalle denunce ai fatti, come ha promesso la presidente della Camera Laura Boldrini e come hanno deciso di fare Anci e Dire firmando un protocollo d’intesa comune.
Un libro si rivolge a quanti abbiano voglia di realizzare una rete di protezione per questo esercito di donne maltrattate. Una lettura che non è solo interessante, ma anche utile per cominciare ad affrontare concretamente il problema.
S’intitola «Il male che si deve raccontare» e l’hanno scritto due donne da anni attive nell’assistenza alle persone in difficoltà e nello studio del fenomeno: Simonetta Agnello Hornby, scrittrice di grande successo e avvocato a Londra, specializzata nella tutela dei minori e delle persone in difficoltà, e Marina Calloni, docente all’Università Bicocca di Milano, membro del Comitato interministeriale dei Diritti umani presso il ministero degli Affari esteri e membro costituente del movimento ‘Se non ora quando?’
Edito da Feltrinelli, il libro non farà intascare un centesimo a editore e autrici perché i proventi saranno devoluti alla creazione della sezione italiana dell’Eliminate domestic violence (Edv), una struttura che, nella sola Londra, ha consentito di ridurre da 49 a cinque le donne uccise all’anno dalla violenza domestica.
“L’idea di scrivere questo libro mi è venuta da Patricia Scotland, un coraggioso avvocato inglese, mia grande amica – spiega Simonetta Agnello Hornby – Nominata membro della Camera dei Lord da Tony Blair, tra il 2000 e il 2010 Patricia ha fatto parte del governo laburista. L’obiettivo che le stava a cuore da anni era aiutare le vittime di violenza domestica, fino ad eliminarla. E ci è riuscita”.
Patricia Scotland ce l’ha fatta con un piano di aiuto che per la prima volta coinvolgeva, oltre ai servizi sociali, sanitari e la scuola, anche i datori di lavoro. La vittima di violenza domestica ha bisogno di lavorare per rendersi indipendente dall’aggressore; dunque Patricia si è rivolta innanzitutto alle aziende creando un’associazione che le sensibilizzava al problema e le incoraggiava a riconoscere e a sostenere le dipendenti vittime di violenza.
I datori di lavoro – oggi sono 700 nel Regno Unito le aziende che fanno parte di questa associazione – sono fondamentali nella protezione della loro dipendente: offrono un aiuto decisivo nel proteggere l’entrata e l’uscita dal lavoro delle donne minacciate, soprattutto fanno sentire alla donna che non è sola a combattere la sua battaglia, che l’ambiente di lavoro le è accanto nella sua difficile battaglia.
Al ministero degli Interni la Scotland ha messo a punto un piano d’azione per ridurre la violenza e gli omicidi domestici, aumentare le denunce, aumentare il numero dei casi portati in giudizio, assicurare alle vittime protezione adeguata e sostegno su tutto il territorio nazionale.
Tutto ciò è stato perseguito attraverso agenzie, consulenti specializzati e l’offerta di servizi di sostegno per le vittime. Il punto forte sono stati i consulenti dell’Idva (Independent domestic violence advisor): persone che lavorano con la vittima e fanno da tramite con i diversi enti, dai servizi sociali alle congregazioni religiose. Inoltre la Scotland ha istituito tribunali speciali per i casi di violenza domestica: al momento sono ancora allo stadio di progetti pilota, ma i risultati sono molto incoraggianti.
È possibile riprodurre in Italia un progetto e, soprattutto, delle strutture simili? Agnello Hornby e Calloni sono convinte di sì, per questo si sono adoperate per la fondazione di una Edv italiana. Questo libro è il primo passo: mostrare che altrove, con determinazione, sensibilità e professionalità, si è riusciti a risolvere quasi totalmente il problema, può essere di stimolo per chi, a livello istituzionale ma anche di volontariato, ha a cuore le sorti delle donne maltrattate. “Credo che il passaparola e il volontariato siano molto importanti, soprattutto nella creazione di una ‘Corporate alliance‘, cioè di un’associazione di datori di lavoro che si sensibilizzino alla violenza domestica e si diano delle strutture adatte alle dimensioni della loro azienda per identificare e aiutare le impiegate vittime di violenza – spiega la scrittrice-avvocato – In Inghilterra grazie ai datori di lavoro si sono evitate tante morti con accorgimenti semplicissimi, come cambiare gli orari di lavoro o fare uscire l’impiegata da una porta diversa”.