La pancia di Goffredo Bettini contiene tutta la sinistra romana. È il depositario di ogni accordo che su Roma, ai suoi lati (potremmo dire ai suoi fianchi) negli ultimi vent’anni si sono conclusi. È un uomo di potere intelligente, ama i libri, ha amato il Pci fino a patirne fisicamente la scomparsa (“mi venne la depressione e durò tre anni”). Ama la classe operaia ma gli ispira tanto stare al fianco dei costruttori. Discepolo di Berlinguer, amico di tutti i Caltagirone della Capitale, ha fatto e disfatto sindaci e giunte e ha dato la spinta necessaria a Ignazio Marino, l’ultimo prescelto. Ritrovarlo con la maglietta della salute e la barba di qualche giorno nel salottino della casa “che divido con una famiglia marocchina in difficoltà”, e l’aria dell’osservatore partecipe ma sfaccendato è insieme utile e singolare. “Ignazio sarà un ottimo sindaco. Ha dato prova di grande spessore etico, è un Argan della scienza, un bel tipo”. 

Galoppa in solitaria, corre da un giardinetto all’altro, un po’ alla rinfusa. “Sta facendo una campagna elettorale guascona” (ride). Non è romano e si vede, e sembra che patisca l’assenza di una qualche connessione sentimentale con la città: “È un irregolare, vero”. Lui irregolare, il partito defunto. Non è che l’ha invece mandato contro un muro? “Andiamo per ordine: Nicola Zingaretti, il più bravo di tutti, ha scelto la Regione Lazio. Paolo Gentiloni ha la competenza e la conoscenza, ma gli faceva difetto una capacità di coinvolgere tutta Roma nel suo progetto. David Sassoli, idem. Ignazio Marino è il meglio. Gli manca quel po’ di ansia che fece dire a Francesco Rutelli, quando gli comunicai che sarebbe stato lui il nostro candidato: se faccio il sindaco di Roma andrò a piedi fino a Milano. Non ci è andato, ma ha scarpinato in città per l’equivalente dei chilometri promessi come atto di gratitudine”. Con i costruttori ha costruito le vittorie di Rutelli, ha gestito il potere con Veltroni, con Gianni Letta ha pianificato le opere-simbolo della capitale, una su tutte: l’Auditorium della Musica. Un concentrato di amicizie affluenti che adesso sembra svanito nel nulla. “Roma è una città di destra. E se la sinistra voleva governarla doveva allargare il proprio campo. Era e resta il mio pensiero. Posso convenire con lei su un punto: ho esercitato un’influenza morale su questa città, mi hanno riconosciuto come rappresentante di un potere politico forte, limpido, identificabile. Ho sempre parlato con loro sentendomi alla pari. La nostra visione, le nostre suggestioni e anche la qualità del ceto politico che con me è cresciuto e si è affermato ha prodotto rispetto nei nostri interlocutori”. Ora zero. “Mi pare che si sian messi di traverso”. Il Pd non esiste. “Un partito personale che genera tanti partitini personali. Una matrioska che contiene micro potentati, con uno sviluppo autarchico, disordinato. Non c’è nessuno che domanda, nessuno che risponda, nessuno che renda conto. Per questo ho deciso di promuovere una mozione congressuale”.

E un governo da tenere in vita: “Mi sembra che Letta nella sua pancia abbia un ordigno di autodistruzione. Le caratteristiche dell’esecutivo sono note e la sua eccezionalità conosciuta a tutti”. Bettini è fuori la politica ma è dentro. “Ancora sono nel coordinamento nazionale del partito, ammesso che valga”. Non più parlamentare. “Dimessomi con onore”. Con la testa un po’ in Thailandia: “Vivo lì almeno sei mesi all’anno. Organizzo il festival Movie Mov, una grande rassegna cinematografica sui talenti italiani tra Manila, Bangkok e la Birmania. Sa, devo pur vivere”. Tre legislature se le è fatte: “La pensione è di sei mila euro al mese. Che divido con la mia mamma novantaduenne”. Ma Roma resiste nel cuor: “Al mio sessantesimo compleanno ho voluto invitare anche personalità distanti dal nostro mondo, ma che a mio avviso hanno segnato la crescita di Roma”. Puntuale si è presentato Caltagirone. “E con lui Toti e Parnasi. E basta”. Basta? “Le ripeto: legami instaurati alla luce del sole, rapporti alla pari, potenze che si riconoscono”. Riporto la denuncia di un architetto: Bettini è stato il regista delle nefandezze urbanistiche di Roma. “Quel tizio è stato querelato”. Marino ce la fa? “Alemanno è partito male, al secondo turno non vedo gara”.

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