Scuola

Mamme ‘operaie’ contro lo Stato inerte

Ho quattro nipotini, due vanno a scuola: prima elementare e asilo. Scuole pubbliche, a Garino, un piccolo comune vicino Torino. Sono due costruzioni basse, con un piccolo giardino intorno e qualche alberello spelacchiato; ma di inverno sono bianche e tenere e, con la bella stagione, quasi ridenti. Ogni tanto li vado a prendere i miei nipotini; porto il mio cane, le sorelline e mia figlia, la loro mamma; quando escono dalla scuola, andiamo tutti insieme a mangiare il gelato. E, ogni tanto, entro io nell’aula di Bubi, quello più piccolino che va all’asilo. È quella arancione (le altre due sono l’azzurra e la verde). Gli levo il grembiulino e gli metto le scarpe: in classe porta delle pantofoline.

L’aula non è un granché, tutto sembra malandato e triste, come un ospedale mal tenuto. Sembra che sia l’effetto ‘muro vecchio’, quando il bianco si è stancato di essere bianco e generazioni di manine lo hanno ricoperto di avanzi di merende e disegni mal cancellati. Anche i bagni sono così; mia figlia mi ha detto che puzzano perché i vecchi battiscopa di legno sono impregnati di pipì; non capisco bene perché i bambini dovrebbero fare pipì sui muri invece che nei gabinetti, ma mia figlia mi ha detto che non capisco niente: non fanno pipì sui muri ma certe volte gli scappa e finisce in terra e si infiltra negli angoli. Fatto sta che questo asilo pieno di creature vivaci e ridenti e che potrebbe essere accogliente e carino è invece piuttosto triste e anche sporco.

Mia figlia mi ha raccontato che c’è stato un summit di mamme. Va bene, è vero, il Comune non ha soldi, sono tempi duri, hanno riconosciuto. Diamoci da fare, hanno deciso. Così sono andate dalla direttrice e si sono offerte di imbiancare i muri; la tinta la compriamo noi, hanno chiarito; veniamo nel pomeriggio, quando l’asilo è vuoto, oppure il sabato o la domenica, come vuole. E poi – hanno continuato – c’è un papà che sa fare un sacco di cose; i battiscopa nel bagno li cambia lui e li compriamo noi.

Ma guarda che brave, ho pensato; e sono stato orgoglioso di mia figlia. Sì però non se ne fa niente, mi ha gelato lei; la direttrice ha detto no. Ma come ha detto no? E perché? Mah, non vuole responsabilità, se qualcuno si fa male… Ma vi preparo una dichiarazione… Sì, glielo abbiamo già detto. Non se ne parla. Sono andate anche dal sindaco e dall’assessore queste mamme; niente da fare. Muri e gabinetti resteranno così.

Perché racconto questa storia? Un po’ perché spero che qualcuno che può la legga e intervenga: le mamme imbiancheranno i muri (come hanno fatto o faranno nelle loro case) e i bambini staranno nel pulito e luminoso; e il papà pianterà due chiodi e metterà i battiscopa nuovi, previa un po’ di pulizia rasoterra. Ma soprattutto perché in questa Italia del perché proprio a me mi volete far pagare le tasse quando c’è quello che lui sì che evade, un gruppetto di mamme che capisce che soldi c’è n’è pochi e che non esistono pasti gratis mi sembra una cosa che ti ridà speranza. Oggi giovani signore capiscono che l’asilo non appartiene a un’entità astratta a cui chiedere, chiedere, chiedere perché “c’ho diritto”; che il Comune, la Provincia, lo Stato sono solo comunità di persone che hanno delegato a gente come loro la responsabilità di organizzare molti aspetti della vita quotidiana; che però resta una “loro” responsabilità; che vivere insieme significa collaborare; che, quando “avere” non è più possibile, è il momento di “dare”. Domani, forse, molti cittadini si renderanno conto che uno Stato in bancarotta (vero, non per colpa loro; ma la bancarotta resta) è una tragedia per tutti; e che le “battaglie per i diritti” possono facilmente tramutarsi in un asilo sporco e puzzolente che tale resta anche per chi ha ragione a chiederne uno pulito e profumato.

Il Fatto Quotidiano, 22 Maggio 2013