Sabato mattina, come molte altre volte, l’ho trascorso in un Centro di Ascolto nella periferia nord di Milano, chiamato dai responsabili per risolvere una situazione familiare molto difficile.
Bacho e sua moglie Lachmani sono giovani, hanno meno di 30 anni e vengono dallo Sri Lanka. Sono in Italia da alcuni anni e fino a qualche mese fa Bacho lavorava come uomo di fatica con uno stipendio di 850 euro al mese. Una cifra molto bassa ma con la quale sono sempre riusciti a vivere insieme ai loro due bambini di 18 mesi e 4 anni.
Qualche mese fa Bacho ha saputo che suo padre in Sri Lanka era in fin di vita. Ha quindi chiesto al suo datore di lavoro non un permesso retribuito ma solo di poter usufruire di una settimana di ferie già maturate. Di fronte al suo rifiuto insensato, Bacho è partito lo stesso arrivando appena in tempo per seppellire suo padre, morto nel frattempo.
Al rientro in Italia ha trovato una lettera di licenziamento per giusta causa e non è stato in grado di difendersi non sapendo che al quel permesso per assistere suo padre, lui aveva diritto per legge. Perso il lavoro, non è stato più in grado di pagare l’affitto e pochi giorni fa il giudice ha decretato lo sfratto esecutivo. Da quando ha perso il lavoro la sua famiglia vive, o forse dovrei dire sopravvive con 150 euro al mese e due pacchi viveri della Caritas.
Quando sono andato a trovarli ho visto qualcosa che mi riesce difficile definire “casa”: 20 metri quadri ricoperti di muffa con un unico letto dove dormono in 4 e trovo scandaloso che gli venga fatto pagare un affitto di 600 euro al mese.
Ho detto a Bacho che farò intervenire gli avvocati della mia Fondazione per contestare la procedura di licenziamento e credo ci siano buone possibilità per il suo reintegro. Nel frattempo, mi attiverò affinché, all’esecuzione dello sfratto, possano avere accesso ad un alloggio popolare per il quale mi farò carico della locazione. Gli ho infine garantito un sostegno al reddito per un periodo di 12 mesi o sino a quando non ricomincerà a lavorare.
Conosco bene la gente di Sri Lanka: sono persone molto discrete e riservate. Di fronte al mio intervento non hanno avuto le reazioni che ormai conosco bene ma si sono schermiti perché non volevano accettare ciò che gli era offerto come supporto, continuando a ripetermi che “..è troppo..”. Dopo quasi un’ora, sono riuscito a convincerli ad accettare e sono riuscito finalmente a strappargli un sorriso.
Molte persone nella mia stessa condizione di agiatezza mi chiedono perché spendo tanto del mio tempo e delle mie risorse per risolvere situazioni come quella di Bacho. Vorrei rispondere loro che la domanda giusta non è perché io lo faccio, ma perché tutti quelli come me non lo fanno. L’anomalia non sono io ma è chi volta le spalle a chi è stato sconfitto dalla vita.