Un simbolo della Rivoluzione Verde, Rasoulof, e si capisce perché questo film sia stato tenuto sotto stretto silenzio, con il titolo (viene da Il Maestro e Margherita di Bulgakov) rivelato all’ultimo e la sinossi intenzionalmente manchevole. Sullo schermo, seguiamo due agenti governativi, Khosrow e Morteza, impegnati a scovare le memorie di uno scrittore scomodo: se pubblicate, rivelerebbero segreti inconfessabili, quale il tentativo di far precipitare in un burrone un bus con a bordo 21 intellettuali. Incidente simulato e anche questi omicidi illustri devono sembrare morti naturali: supposte letali, soffocamento con straccio in bocca e molletta al naso. I Servizi ordinano, Morteza esegue, il sottoposto Khosrow si accoda: ha un figlio malato e i soldi per le cure si guadagnano col sangue versato.
Sul palco del Certain Regard, dove Rasoulof ha vinto in absentia due anni fa con Goodbye, salgono anche gli attori, ma così come nei titoli di testa e coda del film rimangono senza nome, per salvaguardare la propria sicurezza: “La situazione in Iran è complicata, so già che Manuscripts Don’t Burn verrà giudicato dalla nostra stampa un film senza valore artistico”. Solo due parole dal regista, perché – ha constatato il direttore del festival Thierry Fremaux – “questo film non migliorerà le relazioni tra Rasolouf e il governo iraniano”. Splendido film, tra l’altro, che grida al mondo lo stato dell’arte della Repubblica Islamica: per chi alza la voce, la macchina da presa o la penna, non c’è futuro. Oppure, è questo il caso, serve tanto coraggio.