“Non gli piaceva da vivo, perché ora dovrebbe celebrarlo da morto?”. La domanda scatena un lungo applauso nella piccola chiesa di San Benedetto al porto di Genova. Il “vivo” in questione è don Andrea Gallo venuto a mancare il 22 maggio. Chi dovrebbe celebrarne i funerali, nell’altrettanto piccola chiesa di Nostra Signora del Carmine, invece, è il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Comunità episcopale, numero uno dei vescovi italiani. Il simbolo insomma, di quelle gerarchie ecclesiastiche con cui don Gallo si era sempre scontrato, sin dal 1970 quando il cardinale Giuseppe Siri lo aveva cacciato proprio dal Carmine per le sue omelie troppo “politiche”.
Sembra un po’ una doppia beffa quest’ultima mossa del Gallo. Entrare dall’ingresso principale di quella chiesa abbandonata 43 anni prima per un ordine superiore. E trovare all’altare, non nel ruolo di accusatore, ma di alleato, Angelo Bagnasco, il custode dell’ortodossia, l’antitesi rispetto a “quell’angelicamente anarchico” di Don Gallo. Le esequie al “prete da marciapiede”? “Lo faccio con tutti i miei preti, è una regola non un’eccezione”, precisa il cardinale. E invece un po’ eccezionale dev’esserlo, se alla fine, a fianco a lui c’è anche il presidente di Libera don Luigi Ciotti.
“Noi il funerale l’abbiamo già fatto qui”, scandisce una donna intervenuta al microfono dall’altare di San Benedetto trasformato per due giorni nell’altare di San Gallo, come dice scherzando un altro “prete contro”, l’irpino don Vitaliano della Sala.
La chiesa esplode di gente. Per tre ore precise, dalle nove a mezzanotte, quel lembo di vicoli a ridosso del porto è un unico cuore pulsante stretto attorno al suo Don. A fianco del feretro i ragazzi più giovani della comunità, dietro all’altare i più anziani segnati da tanti anni di eroina. Oggi sono loro la comunità, i testimoni che “il Gallo non è morto, è solo invisibile agli occhi”. Come l’essenziale, “visibile al cuore” di cui parla il “Piccolo principe” nel capolavoro di Antoine de Saint Exupéry. “Andrea non si è perso”, dice un ragazzo parafrasando Fabrizio De Andrè. “Lo ricorderò come un ragazzino scalmanato di 80 anni che gridava come un pazzo”, racconta una donna veneta venuta a portare la vicinanza del movimento “no Dal Molin” (che si batte contro la realizzazione della nuova base dell’esercito statunitense nell’aeroporto Dal Molin di Vicenza, ndr), una delle tante battaglie sposate in vita da don Gallo. Come la lotta “no tav”: “Speriamo di vedere tante bandiere in piazza del Carmine”, auspica Domenico ‘megu Chionetti, vicinissimo al Don, che chiama uno per uno a intervenire tutti coloro che hanno chiesto di farlo: per un ricordo, un grido di lotta, una poesia, una dedica, ben più di una lacrima.
Tra il tanfo dell’alcool e lo strascico di profumi alla buona, tra i pugni chiusi alzati e la “dichiarazione d’amore” di Graziella “per un padre che ho scelto ormai cresciuta”, adolescenti con la cresta e novantenni con le mani nodose stringono i “mandilli”, fazzoletti per asciugarsi gli occhi quando l’emozione si rompe nel pianto. C’è un prete magrissimo con la croce di legno. Sembra un monaco. Se ne va senza dire una parola. Una donna anziana vestita di bianco e celeste non alza mai lo sguardo da terra. Uno storpio manda baci al corpo senza vita del Gallo. “Fai bei sogni comandante”, sotto una luna morta piccola i tuoi figli dormono senza paura.