Sono arrivati da Bologna, da Roma, dalla Val Camonica, dalla provincia di Bergamo e di Cremona, dal Veneto e dal Piemonte: ho riconosciuto i volti di tanti incrociati in altre strade. Non ci si incontrava da anni, forse dai tempi del G8 e del Social forum di Firenze. Hanno voluto tutti salutare quell’uomo, quel prete, senza parresia.
Oggi ognuno era alla chiesa del Carmine, dove la sua comunità di San Benedetto ha voluto celebrare l’addio (“Dopo 43 anni ti abbiamo riportato al Carmine”, ha urlato dal megafono Domenico, uno dei suoi fedelissimi), con la propria storia, il proprio volto, i propri errori. La Chiesa ha spalancato le porte a tutti e per una volta il Vangelo si è incarnato nella storia.
Il Gallo, durante il suo funerale, mi ha donato l’amicizia di Orietta Cuccurullo, socia onoraria dell’associazione transgender “Princesa” e di Sijrdic Sadeta, la mamma di un giovane finito da don Andrea dopo 30 anni di carcere. Ho avuto il dono di vivere la celebrazione con loro, con chi, il don del marciapiede, ha amato più di ogni altro.
Uomini e donne che non volevano fischiare il cardinale Bagnasco quando ha detto “don Andrea ha sempre considerato Siri un padre e un benefattore” ma hanno voluto far sentire la loro preghiera. Quei colpi di tosse, prima uno poi un altro, poi l’intera chiesa; quel “Bella ciao” cantato da chi stava sulla piazza per non ascoltare il presidente della Cei, sono stati una preghiera. Certo anarchica e scomposta, disobbidiente ma pur sempre un’invocazione arrivata da chi non è certo “un cristiano da salotto”.