Presenti anche i ministri Alfano, Cancellieri e D'Alia e centomila fedeli da tutta Italia alla cerimonia a Palermo per il parroco di Brancaccio ucciso da Cosa nostra il 15 settembre 1993. Il presidente del Senato ricorda come il sacerdote ha convinto Spatuzza e Grigoli a collaborare con la giustizia
Un sorriso amaro e tre ultime parole regalate ai killer Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza: “Me lo aspettavo”. Moriva così, vent’anni fa, padre Pino Puglisi, parroco della chiesa di San Gaetano a Brancaccio, e da oggi primo martire antimafia della Chiesa cattolica. Un processo lungo quello della causa di beatificazione, iniziato nel 1999 e condotto dal vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, che oggi è arrivato a compimento. Una folla di centomila persone ha riempito stamattina il Foro Italico di Palermo dove, a due passi dal mare, i cardinali Paolo Romeo e Salvatore De Giorgi hanno nominato beato don Puglisi. È la prima vittima di Cosa Nostra riconosciuta beata dal Vaticano. La celebrazione di beatificazione ha accolto un foltissimo pubblico: oltre a migliaia di fedeli, hanno riempito il Foro Italico anche moltissimi ex ragazzi del parroco di Brancaccio. Le prime file, quelle vicine all’altare, erano però off limits, perchè appannaggio dei politici accorsi per presenziare all’evento.
Oltre al presidente del Senato Piero Grasso e alla Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, anche il ministro dell’Interno Angelino Alfano non ha voluto mancare all’appuntamento. “Il suo sangue è servito a determinare una ribellione della società civile che si è tradotta in leggi, nel contrasto più forte da parte dello Stato verso Cosa nostra”, ha annunciato il segretario del Pdl che proprio poche settimane fa occupava il tribunale di Milano per protestare contro i magistrati. Con lui anche la pidiellina Simona Vicari, sottosegretaria allo Sviluppo economico, che poche settimane fa si era spinta a definire il Cavaliere come “l’uomo più perseguitato dell’umanità”. Giampiero D’Alia, leader dell’Udc che fu di Totò Cuffaro e oggi ministro della Pubblica amministrazione che ha tra i suoi sottosegretari anche Gianfranco Miccichè, affida il suo pensiero a twitter: “Un beato in cielo, un modello di promozione umana e sociale in terra”. ”Uno dei miracoli di don Puglisi – ha detto invece il presidente del Senato Piero Grasso – è stato far convertire con il suo sorriso due feroci killer come Spatuzza e Grigoli che hanno offerto un contributo per l’accertamento di verità e giustizia anche recentemente, facendo riaprire indagini come quella sulla strage di via D’Amelio”.
Tra i messaggi di commiato arrivano anche le parole di un ex indagato per mafia come Renato Schifani. “La politica segua il suo esempio e contrasti la criminalità organizzata con l’attenzione alle giovani generazioni e opere concrete, anche attraverso strumenti legislativi sempre più efficaci” ha annunciato il presidente dei senatori del Pdl. Vent’anni fa ad uccidere don Pino Puglisi fu la pistola di Salvatore Grigoli, che insieme a Gaspare Spatuzza eseguì l’ordine di morte impartito da Giuseppe e Filippo Graviano, boss del quartiere Brancaccio. Era lì che era nato don Puglisi, ed era lì che era tornato ad aprire il centro Padre Nostro, un punto di riferimento nel quartiere palermitano che offriva ai ragazzi un’opportunità diversa dalla strada e dalla criminalità. Quasi uno schiaffo in faccia allo strapotere dei boss di Brancaccio, che ne ordinarono l’omicidio, eseguito proprio il giorno del cinquantaseiesimo compleanno di don Puglisi. Dietro l’assassinio del parroco, però, potrebbe essere anche altro. Per i magistrati della procura di Palermo, infatti, l’omicidio di don Pino Puglisi potrebbe essere uno dei messaggi lanciati allo Stato da Cosa Nostra durante la trattativa al tritolo che tra il 1992 e 1993 insanguinò l’Italia. I Graviano avrebbero ordinato di ammazzare Puglisi non solo perché infastiditi dalla sua attività sul territorio, ma anche per cercare di coinvolgere gli ambienti della chiesa nell’aggressione alle istituzioni, e convincerle ad attenuare il carcere duro per detenuti mafiosi. Un obiettivo che andò in porto nel novembre del 1993, quando l’allora guardasigilli Giovanni Conso lasciò scadere oltre trecento provvedimenti di 41 bis per boss mafiosi detenuti.
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