Non ha pace il cadavere di Jorge Videla. Dopo la rivolta della sua città di origine alla sepoltura nel cimitero locale, l’autopsia del corpo dell’ex dittatore avvelena oggi le celebrazioni per l’indipendenza in Argentina, grande festa nazionale peronista. Videla è stato trovato morto la settimana scorsa a 87 anni seduto nel bagno della sua cella del carcere di Marcos Paz, a Buenos Aires, dove stava scontando una pena per crimini di lesa umanità compiuti durante il governo della giunta militare che presideva e dei quali non ha mai detto di essersi pentito. Secondo quanto risulta dall’autopsia, il quadro clinico che ha causato la morte sarebbe stato più complesso di quanto riportato dal certificato di decesso firmato dal medico di guardia Jorge Alberto Domínguez. Tanto più complesso che la direzione del carcere, nell’infuocato clima politico argentino, potrebbe rischiare denunce penali con l’accusa di non aver prestato al detenuto le cure necessarie.

Il reato è configurato nell’articolo 106 del codice penale argentino e prevede la condanna fino a 15 anni di detenzione. Il contenuto del documento, già in mano al giudice federale Juan Pablo Salas, è stato pubblicato in esclusiva dall’edizione domenicale del giornale argentino Perfil, insieme alla denuncia di un militare detenuto. Dalla sola ipotesi che al dittatore possa non essere stata prestata l’attenzione medica adeguata (era in cura per un tumore alla prostata e assumeva farmaci anticoagulanti), allo scandalo e relativo psicodramma collettivo per il sospetto che possa essere stato lasciare morire, il passo è breve. “Nelle dittature la vita non vale niente, nelle democrazie al contrario è sacra” scrive Nelson Castro in Perfil rivelando che, nonostante la famiglia di Videla non abbia per ora presentato denuncia, è stata già aperta un’inchiesta per accertare se al detenuto sia stata negata l’attenzione medica “che merita anche il peggior dittatore”.

L’autopsia di per sé non avrebbe avuto la forza di sollevare uno scandalo se non fosse stata accompagnata dalle dichiarazioni di un militare amico di Videla e detenuto nello stesso settore della prigione. Il militare racconta che il pomeriggio del 10 maggio l’ex dittatore è caduto mentre stava facendo la doccia. Altri carcerati lo hanno sollevato di peso e portato nella sua cella. Lunedì 13, mentre accusava forti dolori, è stato portato alle quattro del mattino prima al centro di trasferimento di Devoto, provincia di Buenos Aires, e poi al tribunale dove era atteso, come imputato, al processo per il Plan Condor, il piano di collaborazione tra dittature militari latinoamericane negli anni Settanta per sequestrare, torturare e far sparire presunti oppositori politici. Mentre era in tribunale Videla ha detto di sentirsi male, di non poter stare seduto. Alla fine della sua deposizione è stato portato prima al centro di Devoto e da lì di nuovo in cella.

Durante la cena quella sera ha detto agli altri detenuti di avere forti dolori. Il mercoledì e il giovedì è stato portato al centro medico del carcere, gli è stata fatta una radiografia (nelle prigione di Marco Paz non c’è un traumatologo, la radiografia non è stata vista da uno specialista) ed è stato poi fatto tornare in cella. Il giovedì gli sono stati dati degli analgesici e il venerdì mattina poco dopo le 8 è stato trovato morto. Il quadro clinico di un detenuto di 87 anni con molteplici fratture alla zona pelvica, malato di tumore e sotto trattamento anticoagulante, avrebbe potuto suggerire la necessità del riposo assoluto. La polemica monta sul perché, invece di essere stato ricoverato, per esempio all’ospedale militare centrale o all’ospedale militare di campo de Mayo, Videla sia stato portato in tribunale per deporre e poi fatto tornare nella cella del carcere. L’estrema destra argentina, che non ha mai smesso di dichiararsi orgogliosa del “processo di pulizia sociale iniziato dalla giunta militare” è scatenata.

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