Quattro anni per un divorzio consensuale, oltre dieci anni per uno giudiziale: è la durata del calvario cui sono sottoposte oltre 1 milione di famiglie italiane. Tutto perché l’Italia è tra i pochi paesi al mondo in cui occorre aspettare tre anni di separazione prima di poter chiedere il divorzio. E intanto si accumulano le cause nei tribunali civili, le parcelle degli avvocati e l’esasperazione familiare.

I dati resi noti oggi dall’Istat confermano la crescita del numero di famiglie coinvolte nelle procedure di separazione e divorzio: nel 2011, per ogni 1.000 matrimoni si  contano  311 separazioni e 182 divorzi. Un trend più che raddoppiato rispetto al 1995, con 90 mila cause di separazione che ogni anno finiscono in tribunale.

In questi anni, però, il Parlamento è stato incapace di modificare una legge fuori dal tempo e dalla ragionevolezza. Saranno contenti in Vaticano, non certo chi è costretto a sopportare il carico sociale e giudiziario connesso alla durata dei procedimenti di divorzio.

Ancora una volta, solo la spinta popolare  può imporre una riforma così semplice quanto contrastata. Per questo, dal 7 giugno – insieme alla Lega per il Divorzio Breve, agli amici del Psi e agli altri che si stanno aggiungendo – saremo per strada con i banchetti per raccogliere le firme sul referendum che introduce il divorzio breve eliminando l’obbligo dei 3 anni di separazione prima di poter chiedere il divorzio.

Passare al divorzio breve significa quattro anni in meno per arrivare al divorzio, far risparmiare ai cittadini le parcelle per le cause di separazione e 100 milioni di euro l’anno allo Stato, con un abbattimento del contenzioso civile.

L’appuntamento per chi vorrà essere promotore di questa sfida è l’assemblea referendaria del 1 giugno a Roma, dalle 9.30 presso la sala Capranichetta, dove presenteremo anche gli altri referendum che riguardano immigrazione e lavoro, finanziamenti ai partiti e alle religioni, una nuova politica sulle droghe.

Per darci una mano: www.cambiamonoi.it

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