La Corte dei conti boccia l’austerità e fa i conti della crisi. In Italia, nel periodo 2009-2013, “la mancata crescita nominale del Pil ha superato i 230 miliardi”, ha detto il presidente, Luigi Giampaolino, sottolineando che “l’adozione di una linea severa di austerità non ha impedito che gli obiettivi programmatici assunti all’inizio della legislatura fossero mancati. Anzi, alla luce dei risultati, l’intensità delle politiche di rigore adottate dalla generalità dei Paesi europei è stata, essa stessa, una rilevante concausa dell’avvitamento verso la recessione”.

Si fa sempre più forte, quindi, il coro di voci contro l’eccessivo rigore. Lo stesso presidente della commissione Ue, José Manuel Barroso, ha preso le distanze lo scorso aprile dall’austerity a tutti i costi. “Pur convinto che questa politica sia fondamentalmente giusta, credo abbia raggiunto i suoi limiti“, ha detto, precisando che “perché una politica abbia successo non deve soltanto essere messa a punto correttamente, deve avere anche un minimo sostegno politico e sociale”. E anche il Fondo monetario internazionale, in uno studio pubblicato a inizio anno, ha avvertito che “la politica di austerità imposta dai creditori internazionali provoca disoccupazione e contrazione dell’economia”, sottolineando che “non è solo inefficace: è dannosa“.

Giampaolino, presentando il rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, ha evidenziato anche che “il consuntivo di legislatura ha mancato il conseguimento del programmato pareggio di bilancio” per 50 miliardi. La perdita permanente di Pil, nell’arco della legislatura passata, “si è tradotta in una caduta del gettito fiscale superiore alle attese” di quasi 90 miliardi. “Ciò che serve all’Italia dall’Europa sono stimoli per crescere di più, non deroghe per spendere di più”, ha spiegato Giampaolino, “il passaggio alla nuova legislatura sembra proporre un primo tentativo di operare in discontinuità da una politica di bilancio che, a partire dall’estate 2011, ha dovuto fare affidamento su consistenti aumenti di imposte, nonostante le condizioni di profonda recessione in cui versava l’economia”.

Il numero uno della Corte dei conti ha lanciato infine un avvertimento sul fronte dell’occupazione. “In Europa l’emergenza della decrescita e della disoccupazione appare oggi acquisire quanto meno un rilievo analogo a quello assegnato al percorso di riequilibrio di disavanzi e debito pubblico”, ha detto, senza nascondere però che “il livello crescente dello stock di debito pubblico non consente di interpretare in modo men che rigoroso il sentiero di risanamento. Sarebbero gli stessi mercati a punire questa scelta”.

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