È Dubai il modello di una certa Europa che si nutre di «modernità» e di speculazione, con l’architettura vista non come la scienza utile a valorizzare armonia e senso della misura, ma come lo strumento per strabiliare, per superare i limiti della natura, per andare più in là del confine del buon gusto.
Così una grande isola artificiale potrebbe ridisegnare la linea di costa di Barcellona, con un indirizzo Internet dal richiamo esotico che presenta un inquietante progetto di costruzione di un’isola di fronte alla città, in realtà è una penisola collegata alla terraferma da una lunga passerella.
Un «rifugio tropicale», fatto di travi di ferro e di pareti a specchio, che permetterà di battere nuovi record: l’isola artificiale più grande d’Europa, con edifici lussuosi, duemila suites e una Torre, non a caso denominata “Galaxy”, alta più di trecento metri: l’hotel, non a caso denominato “Space Hotel”, più alto del continente.
Un progetto che sembra spuntare dalla matita di un fumettista giapponese, con involucri lucenti come navicelle spaziali pronti a oscurare l’edificio a forma di vela che domina il litorale tra la Barceloneta e il porto Olimpico. La prima replica catalana di Dubai potrebbe vedersi presto offuscata da nuove espressioni architettoniche.
Un progetto avveniristico che verrà valutato nei prossimi mesi dagli amministratori catalani, un banco di prova per la “Ley de Costas”, la riforma del demanio marittimo recentemente voluta dal Partido Popular del premier Rajoy che consente più incisivi interventi speculativi sulle fasce demaniali. Politiche fondate sul «gigantismo» per provare a esorcizzare la “bolla immobiliare” che ha fatto di colpo precipitare verso il baratro l’economia nazionale.
Peccato che a 800 chilometri da Barcellona, nella terra di Galizia, i contestatori del «gigantismo» dell’architettura, dopo 14 anni di battaglie, abbiano viste affermate le proprie ragioni: il cantiere della “Cidade da Cultura” (la città della cultura), enorme complesso architettonico progettato a Santiago di Compostela dall’archistar amer
Ad est si concepisce un’opera faraonica. A nord si abbandona un’opera sproporzionata. Progetti smodati, ma anche deprimenti. Come devono essere quegl’incontri tra la megalomania di certa politica e il tornaconto di certa architettura.