Sono vent’anni che la politica del patrimonio culturale è avvitata intorno alla questione pubblico-privato: brillantemente risolta socializzando le perdite (rappresentate da un patrimonio in rovina materiale e morale) e privatizzando gli utili. E dopo il patrimonio è la volta della stessa politica culturale: ormai condotta non da amministratori eletti, ma da fondazioni (bancarie e non) che drenano denaro pubblico per costruire consenso (e clientele) privati.
Ma qualcuno reagisce. A Modena, Italia Nostra ha denunciato con forza il progetto di spezzare l’unità del sapere pubblico sradicando la gloriosa Biblioteca Estense (nazionale) dal (comunale) Palazzo dei Musei per trasferirla nel (privato) polo culturale della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. «La privatizzazione è cominciata», ha commentato ineccepibilmente Salvatore Settis.
Come sempre, nell’Italia di oggi, il ruolo del privato è creato e determinato dall’incapacità dei poteri pubblici. A Modena, per esempio, è mancata un’idea forte, un progetto sullo spazio di tutti. Se davvero si fosse voluto metter mano all’assetto del deposito di sapere, memoria e futuro che oggi ha sede nel Palazzo dei Musei, si sarebbe dovuto pensare a Palazzo Ducale. È quest’ultimo la sede genetica di Galleria e Biblioteca: e ancora oggi, una volta liberato dall’anacronistica e residuale funzione militare, ne potrebbe essere la destinazione. Il che consentirebbe di recuperare agli oggi sovrani cittadini modenesi l’antico, enorme e mirabile palazzo dei loro sovrani: magari con annessa la piazza, oggi tristemente adibita a parcheggio e ancor più tristemente immaginata da alcuni trasformata in un anacronistico parco-format con giochi d’acqua buoni per una qualunque media città della provincia americana.
Nell’incapacità dell’amministrazione anche solo di immaginare una restituzione del Palazzo Ducale ai cittadini ecco subentrare la supplenza (solo in apparenza gratuita, solo in apparenza disinteressata) del privato. Una supplenza che passa attraverso un’appropriazione, materiale e simbolica, di un bene comune generatore di democrazia e di futuro per eccellenza quale una biblioteca storica.
Ma, per fortuna, in quelle stesse mura modenesi si fa ora strada un altro possibile modello di rapporto pubblico-privato: davvero al servizio del patrimonio, e non dell’interesse privato.
Il soprintendente Stefano Casciu e il direttore della Galleria Estense Davide Gasparotto (non per caso appena rientrato dal Metropolitan di New York) hanno lanciato una campagna di crow-funding per dotare di una moderna base antisismica il superbo busto di Francesco I d’Este scolpito da Gian Lorenzo Bernini. Fino al 30 giugno tutti possono donare anche solo un euro: una gara di generosità verso noi stessi che ci si augura gremita e di successo.
È importantissimo che un nuovo terremoto non abbatta questo simbolo della scultura barocca italiana. E una base antisisimica sarebbe un validissimo presidio contro scosse medio-forti, mentre naturalmente lo Stato deve affrettarsi a fare la sua parte nella messa in sicurezza di un edificio ancora seriamente lesionato.
Ma non è meno importante dimostrare che ‘privato’ non vuol dire solo ‘privatizzazione’, ‘sponsor’, o ‘profitto’, ma può anche significare partecipazione diffusa, generosità disinteressata, amore per il bene comune. Una donazione diffusa non accampa diritti commerciali, o potere decisionale, e non si prostra al ‘dio mercato’: è solo un modo concreto di affermare che il patrimonio appartiene a tutti noi. E, oltre che con le nostre tasse, ognuno di noi può in questa occasione dimostrare il proprio amore per quel patrimonio: accanto allo Stato, non al posto dello Stato o contro lo Stato.
È una sfida di civiltà: per conservare il nostro patrimonio, per conservare libera la nostra comunità.