I due stilisti erano stati rinviati a giudizio l'8 giugno 2012. Il 30 marzo scorso erano stati condannati a una multa da 343 milioni di euro da parte della commissione tributaria di Milano nel procedimento avviato dall'Agenzia delle Entrate
Il pm di Milano Gaetano Ruta hachiesto una condanna di 2 anni e 6 mesi per gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, imputati con altre persone a Milano per una presunta evasione fiscale da circa un miliardo di euro. Dei due reati contestati uno è già prescritto. Il 30 marzo scorso erano stati condannati a una multa da 343 milioni di euro da parte della commissione tributari di Milano.
I due stilisti erano stati rinviati a giudizio l’8 giugno scorso. I gup di Milano Giuseppe Gennari aveva ordinato ai pm milanesi di formulare la citazione diretta a giudizio per i due stilisti e per altri sei imputati. Il giudice aveva ha accolto la richiesta dell’Agenzia delle Entrate che chiedeva la citazione diretta, perché gli imputati erano accusati di reati fiscali e non più anche di truffa. Ai due fondatori del marchio di moda viene contestata una presunta evasione fiscale da circa 420 milioni di euro a testa, a cui si sommano, secondo l’accusa, 200 milioni di euro di imponibile evaso riferibili alla società di diritto lussemburghese “Gado”. Per la Procura, attraverso “l’esterovestizione” di questa società, a cui arrivavano i proventi derivanti dallo sfruttamento dei marchi del gruppo, sarebbe stata realizzata la maxi-evasione, con tasse pagate in Lussemburgo e non in Italia.
Il 1 aprile del 2011 il gup di Milano Simone Luerti invece aveva prosciolto dalle accuse di evasione fiscale e truffa sia Dolce e Gabbana che gli altri sei imputati, tra cui alcuni manager del gruppo, perché in sostanza, secondo il giudice, non era stato superato il confine che porta al rilievo penale e dunque al massimo si poteva trattare di elusione fiscale. La Cassazione però, lo scorso novembre, ha annullato il proscioglimento dalle accuse per i reati fiscali (ma aveva mantenuto l’assoluzione per il reato di truffa) ed ha rinviato il procedimento davanti a un nuovo giudice. I pm Laura Pedio e Gaetano Ruta avevano quindi riformulato l’imputazione nella quale sono rimasti solo i reati di dichiarazione infedele dei redditi e omessa dichiarazione.
Il pm, nel chiedere al giudice monocratico la condanna, ha sottolineato che “sono coloro che hanno maggiormente beneficiato di questa operazione” e cioè la creazione di una società, la Gado, lussemburghese che, secondo le indagini, risultava essere la proprietaria di due marchi del gruppo e che di fatto veniva gestita in Italia, consentendo così notevoli “risparmi” fiscali. “Gado era una costruzione artefatta – ha spiegato il pm – funzionale a realizzare il vantaggio fiscale che è stato ottenuto”. La pubblica accusa, oltre a chiedere il carcere per Stefano Dolce e Domenico Gabbana, ha chiesto le condanne di tutti gli imputati eccetto uno, tra cui tre anni di reclusione per Luciano Patelli, il commercialista definito “istigatore del piano illecito” del quale ci sarebbe stata “piena condivisione”. Il primo reato contestato e che è stato incasellato sotto la dichiarazione infedele dei redditi si è prescritto a fine aprile, per questo il pm ha chiesto che venga dichiarata l’estinzione. Rimane invece in piedi la seconda contestazione e che riguarda il reato di omessa dichiarazione. Il pm Ruta ha inoltre chiesto al giudice di condannare Alfonso Dolce, fratello di Domenico, a due anni di reclusione; Cristiana Ruella a due anni e sei mesi; Giuseppe Minori a due anni. Chiesta invece l’assoluzione per Antoine Noella, con la formula “perché il fatto non sussiste”. L’accusa ha anche chiesto di valutare la trasmissione degli atti alla procura per una presunta falsa testimonianza di Marco Tanzi Marlotti e Giovanni Ambrosetti, dirigenti della società di consulenza Pricewaterhouse Coopers, a suo tempo convocati in aula come testi.
Dieci milioni di euro di provvisionale per danno all’immagine sono stati chiesti dall’avvocato Gabriella Vanadia, il legale dell’Agenzia delle Entrate che è parte civile nel processo. La cifra richiesta dovrà essere versata in solido.