Depositata al Senato una mozione che prevede inoltre il ritorno delle preferenze per l'elezione dei parlamentari, norme più stringenti sull'incandidabilità, la soprressione delle Province. I grillini chiedono che la discussione avvenga in Parlamento e non in "nuovi organi", che sarebbero solo "gattopardeschi"
Il Movimento Cinque Stelle è favorevole all’abbassamento del diritto di voto a 16 anni per un referendum popolare di indirizzo sull’opportunità di modifica della forma di Governo e di Stato. Lo prevede la mozione, depositata al Senato, dove si indica lo spostamento del diritto “ai cittadini che abbiano compiuto, alla data dello svolgimento del referendum, 16 anni di età”. Secondo il movimento di Beppe Grillo, ”appare indispensabile e urgentissima una revisione del sistema elettorale attraverso cui i cittadini possano scegliere in maniera diretta, e non esclusivamente ‘mediata’ da partiti e apparati politici, i propri rappresentanti in Parlamento”. E’ quindi “indifferibile un coinvolgimento dei cittadini sulla scelta della forma di Governo e di Stato, anche attraverso la previsione e l’indizione di un apposito referendum di indirizzo”.
La mozione chiede anche la riduzione del numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali, la soppressione delle Province, la fissazione del numero massimo di mandati elettorali e nuove previsioni per l’incandidabilità. Nonché maggiori garanzie costituzionali per le opposizioni, con “l’innalzamento del quorum necessario all’adozione ed alla modifica dei Regolamenti parlamentari”.
L’incandidabilità alla carica di deputato e senatore riguarderebbe “coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva per delitto non colposo, ovvero a pena detentiva superiore a 10 mesi e 20 giorni di reclusione per delitto colposo, oltre che di coloro che ricoprono altri incarichi elettivi”.
Nelle riforme, sostengono i parlamentari Cinque Stelle, deve essere coinvolto soltanto il Parlamento, e il governo deve restarne fuori. “L’organismo abilitato per riformare la Costituzione è uno e uno soltanto, scritto proprio nella stessa Carta, e cioè il Parlamento repubblicano”. Appare dunque “del tutto improprio un coinvolgimento diretto, formale e sostanziale, del Governo nell’ambito della revisione costituzionale: materia, questa, che dovrebbe essere di appannaggio esclusivo del Parlamento e dei cittadini italiani”.
Poi un accenno indiretto alla possibilità che le riforme posasano essere decise da commissioni e “saggi”: “Un qualsiasi iter di revisione della Costituzione al di fuori delle sedi parlamentari ordinarie, si dimostrerebbe del tutto inefficace (si ricordino le esperienze in tal senso nel corso della storia repubblicana più recente), in forza dell’inevitabile sovrapposizione di ruoli e di funzioni di nuovi organi rispetto a quelli già oggi esistenti ed operanti”. Risulterebbe quindi “assurdo e irragionevole intraprendere l’iter di una legge costituzionale volta all’introduzione di organi particolari, dotati di specifici poteri, poiché questa procedura rappresenterebbe una palese intenzione ‘gattopardesca’, al di fuori sia della Costituzione che della razionale sensatezza”.