Sul palco del Locomotiv sono di recente transitati i Girls Against Boys per celebrare i vent’anni dall’uscita di Venus Luxure No.1 Baby. Ora è il turno di un’altra band che ha fatto scuola sulla East Coast nel corso dei Novanta: i bostoniani Come hanno pubblicato il loro splendido album d’esordio, Eleven Eleven, nel dicembre del 1992 ed il disco è stato ristampato nei giorni scorsi dalla Matador, come si usa fare al giorno d’oggi, in una Deluxe 20th Anniversary Edition rimasterizzata e comprendente un bonus album in cui viene riproposto uno dei primi concerti della band.

I Come sono indubbiamente ed innanzitutto il gruppo di una figura carismatica quale Thalia Zedek, una delle voci femminili più espressive, originali e significative dell’intero panorama del rock americano degli ultimi decenni: la sua interpretazione dolente ed appassionata, la sua inconfondibile voce dolce e roca al contempo, il blues più viscerale fattosi letteralmente donna come se la Zedek fosse stata partorita dall’unione di Billie Holiday e Jeffrey Lee Pierce. E, aggiungo, il carisma e la grinta di Patti Smith.

La sua storia musicale inizia a Boston nei primi Ottanta con una punk band tutta al femminile denominata Dangerous Birds: un 7” intitolato Alpha Romeo e poco più. Dopo il sorprendente EP Sleep Asylum con gli Uzi su Homestead nel 1986, la ritroviamo come lead singer di una band americana di formazione ed impostazione post-punk ovvero i newyorkesi Live Skull: con loro esordirà nel 1987 nell’album Dusted e proseguirà l’avventura con il successivo Positraction, prodotto da Martin Bisi. Fine della corsa.

Qualche anno più tardi, nei primi Novanta, la decisione di fondare i Come con l’amico Chris Brokaw, batterista dei Codeine all’epoca dell’album d’esordio, Frigid Stars. Nel 1991 il primo 7” a firma Come arriva su Sub Pop ed il cantato di Car ha col senno di poi, guarda caso, una lieve inflessione alla Mark Arm. Submerge, che infatti aprirà anche Eleven Eleven l’anno successivo, è già un pezzo completamente maturo ed esemplificativo del tipico stile sviluppato dalla band nei primi due essenziali album: noise-rock trascinante ed infinitamente triste dalla marcata impronta blues. Se Eleven Eleven è un gioiello molto rappresentativo di quell’epoca straordinaria per il rock americano ma tuttavia un diamante ancora lievemente grezzo, la perfezione verrà raggiunta dalla band bostoniana nel 1994 con quello che reputo il loro capolavoro, Don’t Ask Don’t Tell: la tensione si taglia a fette nell’iniziale Finish Line, tirata come una corda che pare sul punto di spezzarsi, mentre la successiva Mercury Falls è imbevuta di una tragicità elettrica ed ineluttabile che incombe sino alla fine dell’album. Ascoltate pezzi come Yr Reign, Poison e In/Out: è come se si fosse ridestato lo spirito blues-punk dei Gun Club o dei Beasts of Bourbon e si fosse infilato nei panni di una qualche band Amphetamine Reptile o Sub Pop. Per il resto è musica per beautiful losers, sadcore che si lecca le ferite ma che d’un tratto si inalbera e si gonfia ed esonda dagli argini come un fiume in piena di passioni quando non è già torrente impetuoso. Per il sottoscritto questo resta un apice, uno dei più grandi dischi partoriti dai Novanta.

I seguenti Near Life Experience (1996) e Gently Down the Stream (1998), segnati anche da alcuni cambi di line-up, si manterranno su livelli più che buoni pur non raggiungendo più le vette toccate nei primi due LP della band. I due leader del gruppo avrebbero proseguito di lì in poi su strade diverse: Thalia Zedek come solista, con una propria band, a partire da Been Here and Gone (2001) sino al nuovissimo Via appena pubblicato da Thrill Jockey; Brokaw avrebbe invece militato in altre ottime band di area post-rock (come il supergruppo dei Pullman insieme a Bundy K. Brown, Curtis Harvey e Doug McCombs) e slowcore come i New Year degli ex Bedhead Matt e Bubba Kadane (una collaborazione oserei dire più che naturale).

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