Ho letto con interesse il post di Marco Pipitone circa “Random Access Memories, nuovo album, a otto anni di distanza dal precedente, dei Daft Punk. Ho concluso, lo dico fin da subito prima di dire la mia sull’album, che Pipitone a mio modo di vedere ha poco compreso non tanto l’album in sé, quanto cosa i Daft Punk rappresentino ed abbiano rappresentato.

Nel suo impietoso giudizio su “Discovery” e “Human After All“, fa prevalere il legittimo suo gusto personale. Dimenticando però come questi due album (per me eccellenti, ma questo non conta) abbiano segnato il mondo tech-house dei successivi anni a venire. Il merito principale del duo parigino, al netto dell’hype giustificato, è stato quello di aprire alle masse, di rendere letteralmente “pop” la musica elettronica. Prima se la filavano i cultori, loro hanno avuto l’enorme merito di estenderla al grande pubblico. Il tutto senza scadere nella scontatezza e nella superficialità, ma andando a fondo rispetto alle loro convinzioni e ai loro gusti.

Svalutare “Discovery”, album che ha segnato indelebilmente gli anni Zero, significa commettere un errore storico. Ripeto: che piaccia o no è un altro paio di maniche, qui si parla di quanto un disco sia stato cruciale non solo per una generazione, ma per i suoni e la musica tutta dell’ultimo decennio.

Etichettare poi la musica del duo come rivolta a “giovani tamarri” mi sembra una forzatura non da poco. E’ di oggi infatti la notizia che “Ram” è in prima posizione negli album più venduti anche in Italia, cosa assolutamente impressionante considerato quelle che sono le abituali classifiche di vendita. E proprio nella trasversalità del loro pubblico, dai punkettoni ai padri di famiglia che quasi si commuovono sentendo citati Moroder e Nile Rodgers fino ai quindicenni, che sta la grande forza del duo parigino. Una capacità di fare musica per tutti, pop nel senso più puro e immacolato del termine.

“Random Access Memories”, nello specifico, è semplicemente l’album più naturale, autoreferenziale e “conservatore” che i Daft Punk potessero fare. E’ l’album in cui si mettono a nudo, nel quale la disco-funk viene coperta di una coltre zuccherosa. Dove ci sono echi del prog di Canterbury, dell’indie attuale (Panda Bear e gli immensi Animal Collective), dove pure il revivalismo di Casablancas degli Strokes funziona a puntino. E’ il loro disco integralista e intransigente, da ascolto. Laddove nei loro album hanno sempre giocato per sottrazione, ecco che in “Random Access Memories” i due infarciscono tutto l’infarcibile con svariati riferimenti (Herbie Hancock, immaginari sci-fi, disco-lounge, sottofondi quasi soft-porno) tracciando un fil rouge evidente. 

Forse proprio quel che Pipitone rimprovera ai loro fan (“qualunquismo”), ebbene è ciò in cui cade, giudicando la carriera del duo da una prospettiva riduttiva e poco a fuoco. Tutti trogloditi con l’anello al naso quelli che ascoltano i Daft Punk? Non mi pare proprio.

 

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