Sembra l’inferno. Ma è la cokeria dello stabilimento siderurgico tarantino, fotografata di nascosto da un operaio.
Era o no un gioiello lo stabilimento siderurgico di Taranto quando fu venduto dallo Stato a Riva?
A vedere questa foto a me sembra di poter
dare torto a Prodi. La foto fa parte di un
servizio fotografico in cui si vedono fumi che non sono vapore acqueo ma un
concentrato di cancerogeni, in particolare benzo(a)pirene. Cosa contenevano esattamente i fumi di quel “gioiello tecnologico”?
Ecco i dati.
Nel 1993-94 vi fu la prima indagine ambientale effettuata su iniziativa del Laboratorio di Tossicologia Industriale del Servizio di Igiene e Sicurezza del Lavoro della Usl di Taranto. L’indagine comprese 50 rilevazioni di tipo personale su tutte le batterie di forni della cokeria. Misurò gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e in particolare i valori di benzo(a)pirene (BaP) nell’aria.
Le esposizioni lavorative oscillavano in un intervalli: di 10-100 microgrammi/m3 (addetto coperchi; addetto caricatrice, addetto bariletti) e di 1-10 microgrammi/m3 per le altre mansioni.
Gli operai più esposti in quegli anni inalavano benzo(a)pirene per un equivalente di 6500 sigarette in otto ore di lavoro, che salivano a 65000 sigarette (sempre in otto ore) per le mansioni di coloro che erano immersi nei fumi più densi che si vedono nella foto.
Passiamo alla
seconda foto, una sorta di “foto di gruppo” dei tre operai, immortalata nella
cokeria Ilva dal
fotografo Pigi Cipelli. E’ scattata
dieci anni dopo quella che avete già visto. La fabbrica non sembra essere diventata un gioiello neppure con la gestione Riva.
Analizziamo i dati dei fumi della cokeria alla luce della perizia commissionata dalla magistratura nel
1999-2000, ossia sei anni dopo quella di cui sopra. Continuano ad essere fortemente
cancerogeni per la massiccia presenza di benzo(a)pirene. Il valore più basso in concentrazione è
0,47 microgrammi/m3 (equivalente a circa
300 sigarette per otto ore di lavoro), ma se si va nei punti di maggiore esposizione si raggiungono picchi fino a
10,9 microgrammi a metro cubo (equivalenti a
oltre 7 mila sigarette in otto ore di lavoro).
Questi dati sono scaricabili da PeaceLink.
Quali conclusioni trarre?
E’ evidente che con la gestione privata dei Riva i lavoratori erano esposti ad un livello inaccettabile di benzo(a)pirene.
Ma prima stavano meglio?
Dobbiamo essere onesti e ammettere che durante il periodo precedente ai Riva – quello delle Partecipazioni Statali di Prodi – la situazione in cokeria era ancora più catastrofica. Altro che “gioiello”!
Questo discorso mi porta sostenere che nazionalizzare l’Ilva non garantisce la salute dei tarantini. Le sostanze cancerogene non fanno meno male se escono da una fabbrica nazionalizzata.
Pensare che la nazionalizzazione sia una buona risposta significa entrare in una dimensione illusoria e paternalistica. Significa dimenticare questi fatti surreali e grotteschi avvenuti quando la siderurgia era in mano pubblica. Lo Stato ha taciuto e di conseguenza ha lasciato che le persone si ammalassero e morissero per incuria, imperizia e negligenza.
Per molto tempo tempo ho ascoltato le tesi di coloro che sostenevano che durante il periodo di gestione pubblica lo Stato garantisse più risorse per la
manutenzione e in generale desse più attenzione alla salute dei lavoratori. In un primo tempo ci ho anche creduto, ma facendo coscienziosamente delle verifiche posso dire che
lo Stato ha fallito a Taranto. E oggi è lo stesso Stato che con arroganza e con la stessa pervicacia fallimentare vuole imporre a tutti i costi la
continuazione di un’esperienza coloniale: sfruttamento di un territorio da parte di un’entità economica esterna, nativi danneggiati, risorse portate altrove.