Oggi pubblico la prefazione di Michel Onfray al libro di Amid Zanaz, Sfida laica all’islam, (Elèuthera, 2013). Zanaz ha dovuto lasciare l’Algeria per le sue posizioni radicalmente laiche e dal 1993 vive in Francia. Docente di filosofia all’università di Algeri, oggi lavora come giornalista per la stampa indipendente araba e soprattutto per la rivista Al Awan della Lega dei razionalisti arabi. Fra i numerosi libri di Onfray: Crepuscolo di un idolo. Smantellare le favole freudiane (Tea, 2013) e il suo più famoso La politica del ribelle. Trattato di resistenza e insubordinazione (Fazi, 2008) e Cinismo. Principi per un’etica ludica (Rizzoli, 1992).
L’Illuminismo necessario
di Michel Onfray
Il «politicamente corretto» della nostra epoca trasforma in islamofobo chiunque abbia l’audacia di ritenere giusto il pensiero dei filosofi dell’Illuminismo in merito a religione, laicità, democrazia, ragione e filosofia. Ebbene, questa parola, islamofobo, è stata inventata di sana pianta dai mullah per screditare chiunque non sia musulmano come ortodossia comanda. Tanto che l’impiego di questo termine situa chi lo sceglie dalla parte degli integralisti religiosi. Ma la nostra epoca non ha alcuna ragione di inquietarsi: l’intellettuale non è forse destinato a sposare in massa tutte le cause totalitarie del suo tempo? Infatti, chi fra i letterati, i filosofi e gli altri pensatori non è stato fascista, nazista, comunista, stalinista, maoista, trotzkista nel corso del ventesimo secolo, così ricco di forche e carneficine?Da qui deriva il merito ancora maggiore delle rare parole di Hamid Zanaz, che in maniera molto appropriata sottotitola l’opera La religione contro la vita. Perché l’autore «dice pane al pane e vino al vino» e dunque afferma in modo netto ciò che ogni persona di buon senso dovrebbe dire forte e chiaro: l’islam è intrinsecamente incompatibile con i valori dell’Occidente, che sono l’uguaglianza fra uomini e donne, l’uguaglianza fra credenti e non-credenti, l’uguaglianza fra le condotte sessuali, l’uguaglianza tra i popoli.Tali affermazioni convalidano la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, e un musulmano non può sottoscriverle, non per ragioni congiunturali, ma per ragioni strutturali, dal momento che la sua religione ignora la separazione fra spirituale e temporale e postula nel testo stesso del Corano l’ineguaglianza fondamentale tra l’uomo e la donna, il credente e il non-credente, il musulmano e il non-musulmano, il fedele e l’apostata, tra il discepolo di Allah e quello di un altro Dio.Bisogna leggere il Corano, gli hadithe una biografia di Maometto per poter parlare di questa religione senza dire sciocchezze e senza accontentarsi di riprodurre i discorsi rassicuranti di un’epoca che proclama ai quattro venti che l’islam è una religione di pace, tolleranza e amore. Hamid Zanaz spiega in lungo, in largo e persino in obliquo che non è affatto vero e che difendere una simile idea riporta in auge la vecchia figura degli «utili idioti» che difendevano tutti i costi l’indifendibile marxismo-leninismo durante la Guerra Fredda. Per confermare tale giudizio basterebbe leggere i giornali e tenersi al corrente sull’esistenza che conducono le popolazioni, gli Stati e le nazioni che vivono sotto un regime intellettuale islamico. Cosa che l’autore fa.
Hamid Zanaz afferma l’impossibilità di un islam illuminista, di una laicizzazione di questa religione. E riduce in briciole l’ipotesi di una rilettura contestualizzata, sostenendo che i versetti di una sura misogina, fallocratica e machista possono certamente essere messi in prospettiva, prendendo in considerazione la storia, le condizioni di scrittura, il contesto tribale, ma comunque li si rigiri questi versetti affermano l’inferiorità delle donne, la necessità che si coprano i capelli, la loro inferiorità giustificata e attestata nello stesso ambito della legge (per esempio, le donne contano meno degli uomini nelle testimonianze e negli assi ereditari), il matrimonio combinato, o per meglio dire forzato, le unioni di ragazze giovanissime con maschiadulti, le mutilazioni sessuali e così via.
Che fare allora? Di certo non adattarsi, ci dice l’autore, ma passare ad altro, andare oltre. Da qui il senso degli autori scelti per aprire i capitoli: Nietzsche, Hugo, Sartre, Russell, Beauvoir, Voltaire. Da qui anche l’elogio dei valori messi a punto dalla filosofia dell’Illuminismo: la tolleranza, ma non per chi la impedisce e la combatte con un sistema repressivo, carcerario, militare; l’uguaglianza dei sessi; la libertà di espressione; la laicità e la netta e chiara separazione tra l’ambito temporale e l’ambito spirituale; la democrazia definita come il libero esercizio della libertà di parola; l’educazione alla libertà e non l’indottrinamento all’oscurantismo; la fiducia riposta nella filosofia atea («il mestiere del filosofo implica l’ateismo», dice superbamente Zanaz) in quanto disciplina di liberazione delle coscienze e di costruzione di un giudizio autonomo; la costruzione di un individuo post-islamico, poiché in terra non occidentale l’individuo non esiste, contano solamente la tribù, la comunità, il gruppo; la scelta di un modo di vivere edonista nel quale i piaceri del corpo non siano considerati altrettante vie di accesso alla dannazione.
Hamid Zanaz parla, nel segno di Schopenhauer e dunque con una chiarezza pervasa da melancolia, di «fascismo verde». L’espressione è pesante, ma è stata accuratamente soppesata. Nessuna spacconeria, nessuna provocazione, nessuna sfida, nessuna fanfaronata in questo libro; niente insulti o disprezzo per il Profeta; niente ingiurie, insolenze o sarcasmi; nessuna inutile incitazione all’odio; semplicemente, un lavoro da filosofo, come facevano i pensatori dell’Illuminismo in un secolo in cui bisognava far avanzare le idee in nome delle quali si contribuiva ad aumentare la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza, la solidarietà, l’equità, la giustizia: una battaglia che permane crudamente attuale…