L'ordinanza della Cassazione che sottolinea possibili vizi di costituzionalità della legge elettorale, depositata il 17 maggio, non ha ancora percorso i pochi passi verso la sede della Consulta. "Mancano dei timbri". Ma Napolitano e i supporter del governo Letta hanno tutto l'interesse a dilatare i tempi della bocciatura, che pare inevitabile, per paura di tornare alle urne
Se non fosse che in Italia siamo abituati alle Poste un po’ lente, ci sarebbe da gridare allo scandalo. L’ordinanza della Corte di Cassazione con cui si chiede alla Corte Costituzionale di pronunciarsi su due questioni di costituzionalità riguardanti il Porcellum, non sono ancora arrivate sul tavolo dei giudici di piazza del Quirinale. La sentenza è stata depositata il 17 maggio. E se qualche buon’anima avesse voluto caricarsi materialmente il faldone per portarlo a piedi da piazza Cavour, sede della Cassazione dentro lo spettrale Palazzaccio romano, fino al supremo Colle, all’angolo della cui piazza ha sede l’altrettanto spettrale palazzo della Consulta, al massimo ci avrebbe messo una mezz’ora, camminando lentamente. Ma vista l’importanza del plico e l’urgenza, forse si poteva anche “sprecare” l’invio di una macchina di servizio o di un carabiniere in motocicletta, quelli che arrivano spediti come fulmini quando c’è da recapitare qualche messaggio del Presidente della Repubblica.
Invece, il fascicolato con la sentenza della Cassazione sulla legge elettorale che ha fatto tremare i polsi prima ai partiti e poi a Napolitano stesso, terrorizzato dall’idea che il colpo di cannone contro il Porcellum sparato dai giudici delle sezioni unite potesse mettere a repentaglio la tenuta e la durata del suo governo di larghe intese, è ancora lì, sepolto nella Cancelleria del medesimo Palazzaccio. Mancano alcuni timbri, dicono. E ci vorrà ancora qualche settimana (non giorni, settimane) prima che la questione burocratica si possa considerare totalmente evasa. E che il plico – finalmente – possa prendere la via verso la Consulta. Su quanto ci metterà ad arrivare, una volta partito, è già oggetto di scommessa. E di ironia.
Ma quel che è più divertente di questo gioco delle parti, che nasce da un’attenta quanto alta regia politica, è che i giudici della Corte Costituzionale hanno già messo gli occhi su quanto ha scritto la Cassazione nell’ordinanza. Ovviamente, hanno avuto accesso alla quarantina di pagine del testo consultandolo sui siti internet che il 17 maggio scorso lo hanno interamente pubblicato. Insomma, se la burocrazia (e l’opportunità politica) ritarda l’accesso materiale alla fonte, la rete ha consentito di mettersi, in un certo qual modo, avanti con il lavoro. E così sono cominciati anche ad uscire dei pareri su come potrebbe andare a finire.
Pare proprio che almeno uno dei due rilievi posti dalla Cassazione, quello sulla preferenza, non possa essere considerato ammissibile in quanto la deprivazione del voto di preferenza non lederebbe il diritto costituzionale del cittadino alla scelta politica. Insomma, l’assenza del voto di preferenza nelle liste non inciderebbe sulle modalità di esercizio della sovranità popolare garantite dagli art. 1, comma 2, e il 67 della Costituzione. E, dunque, verrebbe anche a cadere quello che scriveva la Cassazione, e cioè il dubbio “che l’opzione seguita dal legislatore costituisca il risultato di un bilanciamento ragionevole e costituzionalmente accettabile tra i diversi valori in gioco”. Per farla breve: la Consulta si orienterà verso la bocciatura della questione delle preferenze.
Potrebbe invece dichiarare non solo ammissibile, ma sposare in pieno, l’altra questione, più politica, contenuta nel Porcellum, ossia quella dell’abnorme premio di maggioranza. Ebbene, su questo punto la discussione si è già fatta accesa negli uffici della Consulta, proprio perché il meccanismo premiale mette in gioco la governabilità. E questo striderebbe parecchio con l’articolo 3 della Costituzione arrivando davvero a ledere, come dice la Cassazione “il principio di uguaglianza del voto e di rappresentanza democratica”.
Ma la notizia, in realtà, non è quello che deciderà la Consulta. E’ quando, a questo punto, lo farà. Il rallentamento snervante della burocrazia non può essere considerato un fatto naturale. Ironia a parte, infatti, non accade mai che un plico, per quanto voluminoso e comunque considerato urgente, ci metta oltre un mese (e forse pure di più) per fare poco più che tre chilometri di strada da un palazzo del potere all’altro. S’intravede, come si diceva, una regia ben più alta in questo meccanismo. Il plico, per altro, una volta arrivato al Colle, dovrebbe attendere altri due mesi (minimo) prima di essere incardinato in un ruolo di discussione. E poi non è detto che, una volta discusso, la Corte non si possa prendere altro tempo per decidere. Così si arriva a Natale.
Perché tanto tempo per una decisione che, a quanto si apprende, qualcuno dei giudici ha già formulato con chiarezza nella propria testa solo leggendo le carte su internet? Perché se la Corte, subito dopo l’estate, dichiarasse ammissibile almeno uno solo dei due rilievi della Cassazione, tra i partiti si scatenerebbe la corsa al cambiamento del Porcellum (che, come si è visto ieri con l’approvazione della nuova Bicamerale, nessuno vuole davvero fare) e subito dopo la corsa al voto. Esattamente quello che Napolitano non vuole, puntando a fare del “suo” governo di largo inciucio un esecutivo addirittura di legislatura. Nei palazzi della politica lo si dice ormai da settimane che lo spettro del voto anticipato, specie dopo il superamento dello status di infrazione da parte dell’Italia rispetto alla Ue, si è dissolto sull’altare della governabilità e della necessità di fare fantomatiche riforme che nessuno, realmente, vuole fare.
D’altra parte, la regola degli ultimi governi è stata quella di non cambiare il Porcellum per non toccare gli interessi dei partiti. E questa regola vale il doppio in un governo di larghe intese. Vale il doppio perché alle convenienze dei partiti si somma la sopravvivenza del governo. È noto che tra Pd e Pdl non c’è il barlume di un’intesa – neppure minima – per cambiare la legge elettorale e, dunque, aprire la discussione equivarrebbe ad aprire il dibattito sulla durata dell’esecutivo Letta. Come iniziare un conto alla rovescia verso le urne che adesso non conviene né a chi sta al governo, né ai parlamentari che non vogliono rischiare il seggio. Perché, dunque, accelerare qualcosa che potrebbe rompere questo giocattolo così ben congegnato al Quirinale? Meglio rallentare il più possibile la pratica. Facendo posare polvere, in Cancelleria, sull’interesse dei cittadini costodito dentro un’ordinanza della Corte di Cassazione. E “il grande manovratore” và…