Ciao Giacomo, mi parli di te e, in generale, cos’è che ti ha convinto a voler diventare un musicista?
Eviterei di parlare di me, poiché coltivo nei miei confronti una educata noia, diciamo soltanto che ho deciso di fare il musicante semplicemente perché è – tra i lavori che ho fatto –, quello più divertente, seppure il meno redditizio. Quello che tento di fare con le note e le parole è compiere il mio mestiere con un certo pudore, cercando di non finire nell’insieme degli artisti del mio tempo che rappresentano la decadenza della lingua e della musica.
Ho ascoltato il tuo disco dalle belle atmosfere da Francia esistenzialista, insomma, da “Rive Gauche sur la Seine”. Come nasce la tua passione per questo genere di musica?
In passato sono stato un sufficiente esecutore di Ragtime, ovvero Scott Joplin, Jelly Roll, ma soprattutto Fats Waller, con il suo modo ludico di mettersi di fronte al pianoforte, mi ha dato una chiave per portare la sonorità jazz, lontana dalla canzone popolare italiana, alla portata di tutti e al servizio della narrazione.
Mi racconti la genesi di questo disco?
Il disco è nato grazie a una preproduzione faticosa e dettagliata fatta da Roberto Villa (contrabbassista) e Alfredo Nuti (chitarrista). Il presupposto era di inserire le mie composizioni in un suono che fosse dentro alla contemporaneità mantenendo l’ossatura che viene dai padri della musica importante. In studio, diretti dal produttore artistico Francesco Giampaoli, abbiamo suonato tutti insieme cercando di infondere alle incisioni la verità che viene da anni condivisi in furgone viaggiando per concerti. Cercavo un titolo che esprimesse la repulsione verso il verso etico e morale, che ridicolizzasse la musica d’ambiente, che sancisse la fine dei cantautori scollati dal sentimento del suono. In definitiva rappresenta per me una proposta di canzone d’autore dove la musica e il linguaggio hanno la stessa importanza.
Splendido il brano “L’autoambulanza” che poi dà anche il titolo al disco, mi spieghi come è venuta fuori?
È nata ascoltando una sirena di un’ambulanza, sotto casa, quando vivevo a Bologna. La sirena forse era rotta e il suono aveva una metrica dispari, riconducibile a una struttura che alternava il 4\4 al 5\4. Da qui l’idea di creare un personaggio che seguisse l’episodio musicale, tra la presenza e l’assenza. Così, mettere una vecchia tra la vita e la morte dentro a un’ambulanza guidata da quattro squilibrati mi è sembrata una soluzione piacevolmente truce.
In generale come nascono le tue canzoni?
Bè, è difficile dare una regola valente per tutte. Qualcuna è stata scritta di getto, per altre c’è voluto molto tempo.
Qual è la tua filosofia guida nella vita?
Fino a poco tempo fa la mia filosofia guida era la guida. Mi piace guidare e fare molti chilometri. Però ultimamente mi hanno trattenuto la patente per eccesso di guida esistenzialista. È stato un vigile materialista. Che sia stramaledetto.
C’è un artista che ammiri in particolar modo.
Mi attengo al panorama dei viventi senza scomodare le salme. Mi appassionano molto, per quello che riguarda l’arte figurativa, i lavori di Luca Monterastelli, uno scultore con il quale ho spesso avuto modo di confrontarmi su certe posizioni riguardo al ruolo delle arti rispetto al nostro tempo.
Come consideri il panorama musicale italiano?
Il panorama musicale italiano conferma la sfiducia che ho verso la mia specie.
Cosa consiglieresti a un discografico?
Consiglierei di produrre l’ultima fatica che sta compiendo Franco Beat, un catalizzatore di progetti musicali coraggiosi e consapevoli, per evitare che passi amaramente inosservato; oppure ci sono Le Visioni Di Cody, una band di giovani bravi e cattivi che stanno in Romagna,in un villaggio degli Appennini chiamato San Piero in Bagno. Consiglierei al discografico di andare a quel paese ad ascoltarli.