Guardando all’Italia è facile avere la netta sensazione che qualcosa stia andando decisamente per il verso sbagliato: per vocazione personale e per motivi professionali tendo ad osservare il bel paese utilizzando la lente di ingrandimento della mobilità e non posso non notare che, mentre studi ed raffronti internazionali vanno in una determinata direzione, chi si occupa di gestire il sistema paese è portato a prendere regolarmente decisioni che vanno dalla parte opposta.

Secondo Autopromotec, con 61 auto per 100 abitanti l’Italia è il paese in Europa con il più alto tasso di motorizzazione (subito dopo Islanda e Malta) e la colpa sarebbe da attribuire unicamente ai ritardi nello sviluppo del trasporto pubblico. Secondo l’ultimo studio ISFORT sulla mobilità titolato “Una leva per la ripresa”, il 40% degli italiani vuole ridurre l’uso dell’automobile e nell’arco degli ultimi 5 anni il numero di spostamenti in auto in ambito urbano è diminuito di circa il 20%, a fronte di una diminuzione del traffico del 34%. Anche le immatricolazioni di automobili nel nostro paese sono in picchiata e gli stabilimenti del comparto auto operano stabilmente al di sotto del 40% della propria capacità produttiva:  deve essere per questo motivo che si rincorrano in continuazione voci su un’imminente fuga in blocco dal paese del gruppo FIAT dopo anni di attività di delocalizzazione.

Un raffronto internazionale sula produttività de settore automotive. Fonte: OCSE

Quindi, dall’Italia emerge una palese richiesta di mezzi di trasporto alternativi all’automobile (si pensi alla manifestazione indetta dalla Rete per la Mobilità Nuova tenutasi lo scorso 4 maggio a Milano) e dallo stato le uniche risposte che arrivano sono il solito sostegno alla costruzione di nuove autostrade (lo sconto fiscale concesso da Lupi appena insediato al Ministero dei trasporti è emblematico) e quei 35 milioni di euro di “eco”incentivi per la rottamazione delle flotte aziendali che, però, giacciono pressoché intonsi nelle casse del ministero. Tutto questo, mentre il parco autobus nazionale vanta un’età media di quasi 12 anni a fronte dei  5,4 anni della Germania e i 6,1 anni della Spagna e i fondi destinati al trasporto pubblico locale hanno subito un taglio del 17% negli ultimi 2 anni.

Tuttavia, il viceministro ai trasporti, D’Angelis, rassicura: “Non rimanere affogati da traffico e smog e raggiungere i migliori standard europei nel settore del trasporto pubblico locale e ferroviario regionale è la strada giusta per aumentare non solo la qualità della vita degli italiani, e ne abbiamo bisogno, ma anche attrattività e competitività delle nostre città uniche al mondo.”

Intanto, mentre Parigi compie la scelta di interdire alle automobili il lungo Senna, Napoli preferisce liberarsi invece del proprio assessore al traffico, Anna Donati, colpevole di aver voluto con troppa insistenza la pedonalizzazione del lungo mare, lo sviluppo di una forma embrionale di reti ciclabili cittadine e la creazione di una zona a traffico limitato in città. Troppo avveniristica.

Questi elementi riguardano solamente il settore dei trasporti ma, mutatis mutandis, possono essere ricondotti a qualunque altro ambito politico. Per usare una metafora, sembra di assistere a una persona affetta da emicrania che per cercare di alleviare il proprio problema picchia la testa contro il muro ripetutamente e quanto più forte possibile nella speranza di trarne sollievo.

La grande sfida è soprattutto riuscire a capirne il motivo. 

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