C’è un’Europa che fa cabotaggio di porto in porto, cioè di Vertice in Vertice: che prova a lasciarsi alle spalle la crisi e vorrebbe puntare su crescita e lavoro, ma che si sente vincolata al risanamento ed al rigore. E c’è un’Europa che si dice pronta a prendere il largo in mare aperto, facendo rotta su mete lontane, anche se il mare resta grosso e lo scafo, uscito squassato dal fortunale, avrebbe bisogno di rattoppi.

Quale delle due Europe riuscirà ad andare più lontano, è difficile ora dirlo. Quella del cabotaggio rischia poco, ma va avanti piano; e l’equipaggio a bordo, già provato da privazioni e sofferenze, manca d’entusiasmo. Quella del mare aperto può prendere velocità, se s’alza il vento, ma è tutta sinistri scricchiolii; e l’equipaggio è bianco di paura.

L’Europa del cabotaggio era oggi di scena a Roma, dove il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha avuto incontri istituzionali e un colloquio col premier Enrico Letta. L’Italia –dice Letta- vuole mettere in campo misure per la crescita e per l’occupazione dei giovani, ma stando “entro le regole di bilancio che ci siamo dati” a livello europeo, cioè non sforando il 3% del deficit. L’Unione –dice Van Rompuy- non si sente più minacciata, perché la fiducia dei mercati è tornata, ma resta “fondamentale” perseguire il risanamento dei conti: l’Italia deve andare avanti “sulla via delle riforme e della crescita”.

Messaggi di per sé contraddittori, non tra di loro, ma ciascuno al proprio interno. Van Rompuy e Letta guardano entrambi al Vertice europeo di fine giugno, preparano l’uno un piano europeo sull’occupazione giovanile in cinque punti, l’altro un piano nazionale. Ma entrambi sanno di non avere i mezzi per realizzarli, nell’attuale contesto dei bilanci e delle strategie europee.

L’Europa del mare aperto era di scena ieri a Parigi, dove il presidente francese François Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel mettono anch’essi la prua su crescita e occupazione, senza però preoccuparsi delle contraddizioni tra rigore e crescita, ma progettando un balzo in avanti istituzionale verso un “governo di Eurolandia” i cui poteri e la cui forma restano da definire.

Forse, è solo un modo di aprire un nuovo cantiere e, quindi, di prendere tempo, in attesa che il voto in Germania il 22 settembre liberi la Merkel da condizionamenti politici a breve termine. Ma c’è almeno una prospettiva di rafforzamento dell’integrazione che rianima gli europeisti superstiti,  pronti a sostenere l’appello di Jacques Delors e Gerhard Schroeder: “Cara Merkel, aiuta l’Europa” ed a chiedere che il Parlamento europeo che uscirà dalle elezioni del maggio 2014 abbia la funzione di “convenzione costituente” per l’Unione politica.

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