Mentre la giunta del Comune di Milano cerca 240 milioni per il pareggio di bilancio si vede riaprire sotto i piedi la vecchia falla dei derivati. Proprio così. La pratica sembrava archiviata per sempre e invece riemerge improvvisa, con tanto di esposto alla Procura e alla Corte dei Conti con ipotesi di danno erariale. Torna sotto la lente l’accordo che ha messo fine al contenzioso con le quattro banche estere la notte del 16 febbraio 2012, giusto un mese prima del processo che nove mesi dopo porterà alla loro condanna per truffa aggravata. Analizzando la documentazione di quell’operazione, salutata dall’amministrazione come una grande vittoria e criticata da alcuni come un inspiegabile favore alle banche, viene fuori che il tasso d’interesse applicato alla rinegoziazione è superiore a quello originario.
Il contratto sottoscritto nel 2005, quando a guidare la giunta era Gabriele Albertini, prevedeva l’emissione di un prestito obbligazionario da 1,7 miliardi di euro con interesse trentennale fissato al 4.019%. Quello applicato a seguito della rinegoziazione operata dalla giunta Pisapia prevede un tasso equivalente al fisso che oscilla tra il 4,38 e il 4,64%. Tradotto in soldoni, nei 23 anni che mancano all’estinzione, il Comune si troverebbe gravato di maggiori interessi per 77 oppure 132 milioni, a seconda di come cadrà la forbice. E chi lo dice? Gli stessi advisor e consulenti che il Comune aveva chiamato nella primavera del 2012 a districare la complessa partita giuridico-finanziaria. In quelle carte, tabella su tabella, ci sono le simulazioni che gli esponenti del Movimento Cinque Stelle hanno portato all’attenzione della Procura di Milano e alla sezione lombarda della Corte dei Conti, accompagnati da due esposti per l’accertamento di eventuali illeciti penali e danni erariali. “Dal momento che è riconducibile alla condotta truffaldina delle banche, anche questo aggravio avrebbe dovuto rientrare nelle valutazioni di convenienza, essendo un danno definito con certezza – per quanto in un range variabile – dai consulenti”, scrivono i firmatari Crimi, Calise, Carinelli e Carcano.
Toccherà quindi ai magitrati riaprire il capitolo e soprattutto stabilire se al Comune, alla fine dei conti, è convenuto davvero chiuderlo come ha fatto. E come ha fatto? Un mese prima che iniziasse il processo al Tribunale di Milano, con i funzionari delle banche rinviati a giudizio con ipotesi gravissime, la giunta milanese delibera un accordo transattivo con gli istituti che estingue per 474,8 milioni uno dei tre derivati (ma lascia in essere altri due, con un saldo negativo di 379 milioni) in cambio della rinuncia del Comune al procedimento civile di risarcimento danni e alla costituzione di parte civile nel processo penale. Insomma, il Comune fa retromarcia in cambio di un accordo che giudica assolutamente conveniente anche in virtù “dell’esito incerto di un’eventuale pretesa di risarcimento effettivo nel giudizio penale”. La cronaca racconta invece di una storica sentenza che arriva appena nove mesi dopo e acclara la responsabilità delle banche per aver fatto sottoscrivere (e poi ristrutturare) il debito dell’ente a proprio vantaggio, caricandolo di costi impliciti, anziché nel suo. Con un illecito profitto per loro e un danno per le casse di Palazzo Marino quantificato in 90 milioni di euro. E si torna all’oggi, perché lo scorso febbraio le 240 pagine di sentenza divengono pubbliche e possono essere confrontate con le 400 di analisi e controanalisi di convenienza in base delle quali l’amministrazione ha deciso di sottrarsi al processo e rinunciare al risarcimento dei danni subiti a opera delle banche.
Finora è stato molto complicato avere informazioni utili a capire chi abbia deciso e sulla base di quali valutazioni. Non solo perché la documentazione correlata “è stata resa disponibile ai consiglieri all’ultimo minuto e a decidere tutto è stata la giunta”. Ma anche perché l’accordo era subordinato a una clausola di riservatezza che impegna il Comune a non descrivere l’accordo transattivo come un “risarcimento di qualsivoglia illecito o responsabilità”. Di più, chi ne vuol parlare deve attenersi al comunicato ufficiale e sottoporre preventivamente alle banche quanto andrà a dichiarare. Qualcuno dirà che, insieme alla precipitosa fuga del danneggiato dal processo, le banche hanno comprato anche il suo silenzio. E tutto in cambio di un “non-risarcimento” la cui convenienza è rimessa in dubbio oggi dall’ipotesi di maggiori interessi finali.