Tagli alla flotta, voli cancellati e mazzate ai dipendenti non sono gli ingredienti della ricetta per l’Alitalia del nuovo amministratore, Gabriele Del Torchio, 62 anni. Dopo essersi reso conto in fretta in che frullatore è finito, il capo della malmessa compagnia aerea cerca di organizzare il primo pronto soccorso. Con una inversione a U rispetto al passato, ritiene sia arrivato il momento di puntare sul lungo raggio provando a rialzare la testa.

La fotografia della compagnia è raggelante. Nata nel 2008 con il peccato originale di una mossa a effetto di Silvio Berlusconi per vincere le elezioni, zeppa di dipendenti irritati per le botte ricevute e delusi da mille fanfaronate al vento, l’Alitalia dei “patrioti” è appesantita dal fardello di 1 miliardo e 23 milioni di euro di debito, 56 milioni in più rispetto alla fine 2012 che in parte si sono già mangiati i 95 milioni di prestito concessi di malavoglia a febbraio da una pletora di azionisti litigiosi e malmostosi che hanno preferito questa strana soluzione rispetto a un aumento di capitale. La perdita del primo trimestre è di 157 milioni, il passivo 2012 di 280, nei primi tre mesi 2013 i ricavi sono diminuiti del 6 per cento e il risultato netto segna un meno 20 per cento. La possibilità di un fallimento è tutt’altro che peregrina, l’unica speranza è che l’estate porti passeggeri e incassi.

“Lo so, la situazione è disperata, sarà durissima” , ammette Del Torchio. “Il debito ci sta uccidendo, tutti i creditori saranno soddisfatti, ma tenteremo di rimodulare i termini con le banche allungando le scadenze, se possibile. Di certo, però, solo con i tagli si muore. Ho lavorato in tante aziende, ma non ne ho vista nessuna che si riprende mortificando la produzione”, riflette l’amministratore che ha buttato nel cestino il vecchio piano industriale che prevedeva, per esempio, la radiazione di almeno 10 A320. Ne presenterà uno nuovo prima della fine di giugno.

Oltre il Milano-Roma

Nei prossimi giorni incontrerà i banchieri dei 12 istituti che intrattengono rapporti con la compagnia, a cominciare dai quattro più esposti, Banca Intesa, che è anche azionista, Unicredit, Popolare Emilia e Monte dei Paschi, sperando di riuscire a ottenere qualcosa in modo da tirare un po’ il fiato. Sul debito pesano in particolare le rate per il leasing degli aerei, 636 milioni, e qui Del Torchio proverà a ridiscutere i contratti sostituendo aerei per il corto raggio con quelli per il lungo. L’errore capitale di Alitalia è stato proprio quello di puntare tutto sul mercato domestico tentando di sfruttare, con una buona dose di opportunismo manageriale, la graziosa dote del monopolio Roma-Milano avuta nel 2008 da Berlusconi.

Quel regalo ha sortito l’effetto opposto di quello sperato: perdite a rotta di collo. Del Torchio lo riconosce: “Basta con la scelta perdente di puntare tutto sul Roma-Milano”. Sulla sua scrivania in bella vista c’è una tabellina con le quote di mercato di aerei e treni nel segmento business. Quattro anni fa l’aereo spadroneggiava con il 71,1 per cento, oggi è già sceso al 65,7, nel 2016 sprofonderà al 57,2. Stando così le cose, piuttosto che insistere sul Roma-Milano, è più ragionevole venire a patti con la realtà e a questo proposito Del Torchio pensa casomai a un qualche accordo con le Ferrovie e per questo si è già riservatamente incontrato con il suo omologo dei treni, Mauro Moretti.

Secondo il nuovo amministratore di Alitalia il futuro della compagnia passa dal lungo raggio, cosa più semplice a dire che a fare, però, con i conti in quello stato. Magari riaprendo quelle rotte chiuse o emarginate troppo in fretta in passato. Tipo la Cina, forse non più Pechino ma Shanghai, e la promettente Argentina di Papa Francesco. E intensificando i collegamenti con gli Stati Uniti, anche da Milano, e ritornando anche sullo scalo di Newark. E poi il rehubbing tentando di usare di più e meglio gli aerei, riportandoli fin dal prossimo autunno a Fiumicino dopo che i suoi predecessori li avevano sparpagliati per mezza Italia. Oggi i piloti della compagnia italiana volano poco, loro malgrado, appena 650 ore l’anno, quelli dei concorrenti europei 900 ore e ci sono aziende che vorrebbero sforare anche questo tetto di legge.

Oltre il Milano-Roma

I soldi che Del Torchio prende all’Alitalia, 650mila euro lordi l’anno, dopo un taglio del 20 per cento deciso da lui stesso, probabilmente da soli non bastano a spiegare la sua decisione di tuffarsi in una causa apparentemente persa. Figlio di un operaio, riuscì a laurearsi alla Statale di Milano perché alla Montedison, dove aveva trovato lavoro, gli permettevano di uscire un po’ prima per studiare. Ora è uno di quei manager che non ritiene i licenziamenti una medaglia al merito.

Nel primo faccia a faccia con i sindacati si è conquistato una prudente attenzione. L’ennesimo casus belli erano le pulizie a bordo dopo che la ditta esterna, la Nas, infarcita di ex dipendenti Alitalia, era andata a gambe all’aria. Per pulire si erano mobilitati un po’ di dirigenti e impiegati provocando la reazione risentita dei sindacati che avevano diffidato l’azienda dal ricorrere a espedienti del genere. Per raffreddare subito lo scontro, Del Torchio ha assunto a tempo determinato 40 dipendenti ex Nas per le pulizie e incontrato i sindacati concordando una soluzione tampone in attesa di tempi migliori. Se ci saranno.

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