Politica

Governo Letta, Napolitano: “E’ senza dubbio a termine, le riforme entro 18 mesi”

Il presidente della Repubblica: "Quella dei partiti è stata una scelta eccezionale". Ma non parlerà di riforme istituzionali "né ora né in futuro". Ma Alfano rilancia sul presidenzialismo: "E' la strada giusta". Scontro nel centrosinistra. Bindi: "Letta pensi alla crisi e lasci stare la Costituzione"

Diciotto mesi per completare le riforme istituzionali sono un tempo ragionevole, ma il governo è a termine. No comment, invece, su eventuali modifiche in direzione presidenzialista o semipresidenzialista. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a chiusura dei festeggiamenti per la festa della Repubblica, sprona una volta di più i partiti a percorrere la strada delle riforme. Il capo dello Stato parla anche di legge elettorale (“Bisogna uscirne”), aggiungendo che occorre evitare che “ognuno sventoli la propria bandiera”.

Quindi “né stasera né poi” il presidente della Repubblica parlerà di riforme istituzionali e “resterà assolutamente neutrale”. Il capo dello Stato ha ricordato infatti che la questione “è all’ordine del giorno della Commissione che si sta costituendo e sarà discusso nel comitato di esperti”. Solo allora, ha aggiunto il presidente, “si entrerà nel merito”.  Ma che riforme e vita del governo vadano a braccetto Napolitano lo fa capire bene. Dice che “assolutamente” il governo Letta non ha alcuna scadenza, ma rappresenta per il Paese e le forze politiche “una scelta eccezionale e senza dubbio a termine”, vista la straordinarietà della coalizione che sorregge l’esecutivo. E proprio per questo oggi il capo dello Stato ha ringraziato i partiti di maggioranza per lo sforzo fatto: ”una scelta – ha detto – che comporta sacrifici per i singoli partiti”. Certo, Napolitano ha “apprezzato molto che il 29 maggio le Camere abbiano approvato una mozione in cui sono indicati i tempi delle riforme. Diciotto mesi sono un termine più che appropriato. Sarà un processo molto complesso, l’importante è tenere il ritmo”. La scadenza è la fine del prossimo anno, ma “di qui a un anno si capirà a che punto siamo, si capirà se l’Italia si è data una prospettiva nuova”. E’ anche vero che a partire dall’operazione del Quirinale che ha portato Mario Monti a Palazzo Chigi il ruolo del presidente della Repubblica è molto cambiato, a detta di molti costituzionalisti. Durante la fine del primo mandato e soprattutto l’inizio del secondo (con la formazione di un governo voluto da lui) le prerogative del capo dello Stato sembrano essersi via via rafforzate.

Sulla legge elettorale poi occorre evitare che “ognuno sventoli la propria bandiera” come avvenuto anche nei mesi scorsi, per arrivare così ad una situazione sterile. La riforma della legge elettorale non può essere elusa, anche perché “può darsi che ci sia una nuova sentenza della Consulta, che questa volta potrebbe indicare con più precisione i punti da modificare” della legge attuale, come il premio di maggioranza senza soglia di accesso. Questo comunque “non vuol dire che si debba tornare al proporzionale puro”, anche perché si può “salvaguardare il carattere maggioritario della legge attuale”.

Alfano chiama il Pd: “Il presidenzialismo è la strada giusta”
Ma quello che agita il mondo politico è soprattutto un’eventuale accelerazione per una modifica dell’architettura dello Stato in senso semipresidenziale, se non presidenziale. E il portabandiera è il vicepresidente del Consiglio Angelino Alfano, che peraltro riprende parole già pronunciate dal capo del governo Enrico Letta: “I cittadini – dice il segretario del Pdl – devono poter eleggere direttamente il presidente della Repubblica. Noi lo diciamo da tempo e siamo assolutamente d’accordo: questa è la strada giusta”.

I modelli sono quello francese e quello statunitense, per il ministro dell’Interno: “Se il capo dello Stato sarà eletto direttamente dal popolo – spiega Alfano – i cittadini potranno partecipare a una grande gara democratica, come accade in Francia e in America. Noi ci abbiamo provato l’anno scorso purtroppo siamo riusciti solo al Senato ma non alla Camera. Adesso potremo riuscirci, perché anche da parte del Partito democratico si stanno aprendo dei significativi spiragli”. E fa pressione sul Partito Democratico: “Questa scelta – conclude Alfano – sarà un’ottima scelta e aumenterà anche l’affetto dei cittadini nei confronti delle istituzioni”. Era stato proprio il presidente del Consiglio Enrico Letta, ieri, a sostenere che l’attuale capo dello Stato sarà l’ultimo eletto con questo sistema.

Rodotà: “Stupito dall’uscita di Letta”
Parole che hanno fatto saltare sulla sedia, per esempio, il costituzionalista Stefano Rodotà che parlando dal palco della manifestazione di Libertà e Giustizia si è detto “stupito” dal fatto che “un politico accorto come l’attuale presidente del consiglio, Letta, abbia detto che il prossimo presidente della Repubblica non sarà eletto con il sistema dei grandi elettori. Come ho detto prima, loro non ci sono riusciti e vogliono uscire dalle loro difficoltà per la via delle riforme istituzionali” commenta Stefano RodotàIl professore, nel corso del suo discorso, ricorda che la personalizzazione è la “via regia al populismo” e che è falso che il presidente del Consiglio non ha potere. “Spesso un problema politico diventa un problema istituzionale – argomenta – scaricando così sulla Costituzione l’incapacità di fare il proprio mestiere”. In un altro passaggio del suo intervento Rodotà però esclude la nascita di un nuovo movimento: “Io deludo forse qualcuno ma dico no a un ennesimo partitino”.

Vendola: “Parlare di presidenzialismo è uno sbandamento culturale”
Ma la questione del presidenzialismo rischia l’ennesima mina all’interno del centrosinistra e soprattutto all’interno del Pd: “Il fatto che noi parliamo di presidenzialismo o semipresidenzialismo in un Paese che non è riuscito nemmeno a fare la legge sul conflitto di interessi è segno di uno sbandamento culturale” sbotta il leader di Sinistra Ecologia e Libertà Nichi Vendola. Nelle democrazie dove esiste il presidenzialismo, ha aggiunto, “esistono contrappesi straordinari; noi, invece, ci troviamo in una condizione in cui l’equilibrio tra i poteri è stato l’oggetto di un bombardamento quotidiano del berlusconismo nel corso di un ventennio”. Il presidente della Puglia afferma di essere “incredulo che ci sia una voglia matta di riformare la Costituzione in fretta e furia. Mi pare ci sia una opera di distruzione con una tensione iconoclasta della carta costituzionale. Penso che le classi dirigenti considerino la Costituzione alla realizzazione della loro idea di modernità, un’idea malata di modernità”.

Bindi: “Letta pensi alla crisi e lasci stare la Costituzione”
Ma in questo dibattito si inserisce Rosy Bindi che con parole chiare raccomanda a Letta di pensare alla crisi e di non preoccuparsi della Costituzione: la Carta, dice, “è di tutti. Oggi a Bologna, nel giorno della festa della Repubblica, lo abbiamo gridato in tanti – giuristi, associazioni, testimoni. Peccato che in contemporanea abbiamo registrato la sordità del governo, che ieri con il presidente del consiglio Letta e oggi con il vice presidente Alfano ci annunciano accordi già pronti sulla elezione diretta del Capo dello Stato. Forse il governo potrebbe concentrarsi di più su altri accordi di maggioranza, per risolvere i drammi economici e sociali del Paese, senza entrare così pesantemente sul dibattito di revisione costituzionale”. Se Rodotà è stupito, Rosy Bindi è sorpresa dal fatto “che il presidente Letta abbia assicurato il superamento della modalità di elezione del Capo dello Stato, motivando questa scelta come garanzia per non rivivere mai più l’esperienza della faticosa rielezione del presidente Napolitano. Davvero non si può accusare la Costituzione di essere superata e inefficace per coprire gli errori dei partiti e soprattutto della classe dirigente del Pd”.

La commissione dei saggi: in pole Violante, Ceccanti, Zanon e Ainis. Rodotà dice no
Le riforme spettano al Parlamento, il compito del governo era quello di avviare il percorso. Stop. Eppure la sortita di ieri di Letta dà una brusca accelerata al dibattito sulle riforme. Sul tema del semipresidenzialismo c’è ormai una discussione trasversale. Non è sfuggito, per esempio, che ieri in occasione del raduno “Eleggiamoci il presidente” promosso da Giovanni Guzzetta per avviare la raccolta di firme, siano arrivati messaggi di Walter Veltroni e del ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello. Favorevoli anche Matteo Renzi e Romano Prodi. E un’apertura è arrivata anche da Guglielmo Epifani, anche se nel Pd restano resistenze. A questo si aggiunge che il Pdl già nella scorsa legislatura aveva presentato proposte di legge sulla materia. Insomma, la macchina è in moto. Intanto, in settimana dovrebbe arrivare l’indicazione del governo per la commissione di “saggi” chiamata ad accompagnare il lavoro del Parlamento. Dopo l’avvio del percorso delle riforme, con la votazione delle mozioni a Camera e Senato, potrebbe nascere l’organismo consultivo. La composizione è ancora top secret. Circolano sempre i nomi di Luciano Violante, Stefano Ceccanti, Nicolò Zanon, Tommaso Edoardo Frosini e Michele Ainis. Stefano Rodotà non ha accettato, invece, l’invito di Letta, anche se i due hanno concordato di vedersi regolarmente. La commissione dovrebbe essere snella, circa una ventina di componenti, sul modello della commissione Balladur.