“Siamo ancora dentro il Novecento, tutti sul lettino di Freud a mostrarci l’un l’altro malattie ossessioni e ferite varie. Artisti, anche giovani, bloccati alle soglie del nuovo millennio. Poche tracce del nuovo…” Converso con Pier Luigi Tazzi mentre torniamo dalla Biennale di Venezia, cercando di incrociare le mie impressioni di visitatrice (fino ad ora) del genere umoral-rilassato del mi piace non mi piace con quelle di un critico di rango. Il tentativo sarebbe quello di trovare una risposta al quesito che ha posto il giovane e ottimo curatore Massimiliano Gioni: qual è il mondo degli artisti? O anche, meno ambiziosamente, di rispondere alla domanda inevitabile degli amici: “Com’era a Venezia?”
Intanto con la proclamazione di sabato mattina dei vincitori di Leoni d’oro e d’argento c’è stato subito da fare i conti con l’alto giudizio degli addetti. E anche il precipitarsi a vedere i lavori dei vincitori, “saltati” o proprio non visti (anche se transitata davanti più e più volte). Come per quello del Leone d’oro Tino Sehgal (massima star trendy, quindi molto refrattario a dare notizie di sè non volendo didascalie sui muri nè segnalazioni sulla mappa). Il lavoro consiste in piccolissimi gruppi di persone, attrici danzatori cantanti, anche uno da solo alla volta, seduti sul pavimento nel padiglione centrale ai Giardini, che intonano musiche o ritmi o balbettii in relazione fra loro. Concentrati, senza tener conto dell’esterno. Insomma una performance un po’ vintage che non ci trova impreparati, s’è visto di parecchio più oltaggioso o inquietante. Figurarsi.
Si diceva delle premiazioni: per l’Italia si ha il Leone d’oro alla carriera alla mitica Marisa Merz, evviva, e premiata con menzione speciale la scultura di Roberto Cuoghi. Che avevamo trovato importante e fascinosa, non capendo bene di cosa fosse fatta, anche se si poteva toccare. Che poi il criterio del toccare le sculture in Biennale è parecchio labile, a volte ti avvicini anche per sbaglio e sfiori qualcosa e signorine ansiose ti infamano in lingua estera. Poi, davvero bello il video che ha dato il Leone d’argento per una promettente giovane artista a Camille Henrot. Una darwiniana Origine della specie in tempo di i-pad, sontuosa per ricchezza di invenzioni visive, molti animali fotogenici vivi e morti e musica bellissima.
Musica super e animali – uccelli rapaci vivi ma in pericolo- protagonisti anche nel mio favorito – e non premiato!- video dell’artista Jeremy Deller al padiglione della Gran Bretagna. Qui ti accoglie la buona vecchia idea sociale dell’arte. Con tono apparentemente leggero e colorato e con tecnica ineccepibile Deller mette in campo la”mitica qualità della cultura popolare inglese e la sua abilità creativa specialmente nella musica”. E poi giù a menare fendenti a destra e a manca contro il neoliberismo, quello che l’artista chiama la congiura di Blair, Harry e Abramovic. E si inventa una magica vendetta di un William Morris redivivo che affonda l’arrogante yacht del magnate russo. La mega orchestra fatta di gente comune, arrivata per l’inaugurazione, che suona la colonna sonora del video, registrata nei mitici studi di Abbey Road, è travolgente. E ti offrono pure un tè squisito in una verandina amena che non si era mai vista nel serioso padiglione neoclassico. Esci di lì divertita indignata e commossa. Lunga vita all’Inghilterra!
Chi invece non parla affatto di sè ma di altre identità è la Germania, che con la sua scelta politically supercorrect di ospitare quattro artisti (fra cui Ai Weiwei) di altre nazionalità ma che hanno lavorato molto con gallerie e istituzioni, mi è sembrata un po’ un mascherarsi da qualcun altro per ammansire l’opinione pubblica europea con la storia di essere multiculturali e accoglienti. Chissà se più malati di esotismi o ricascati nella solita ossessione di lavarsi da colpe più o meno recenti. Sembrerebbe che oggi manchino artisti tedeschi per accollarsi questa identità pesantina…
Altro gioco degli scambi: il bravo videoartista albanese Anri Sala scelto a rappresentare la Francia. Che si fa inaspettatamente possedere dalla grandeur d’oltralpe e quindi confeziona nel monumentale padiglione (scambiato con quello della Germania bisognosa di low profile) monumentali video perfetti, protagoniste le mani dei musicisti alle prese con sonata implacabile di Ravel, anche un po’ rappata. Tutto intenso, sì, bello, ma un po’ strabordante e poi accidenti, fratelli francesi rilassatevi, ecchediamine.