“Nulla si crea, tutto si distrugge”. Propongo che questo sia il logo dell’Italia in cui da vent’anni stiamo vivendo, e che il governo collaborazionista Letta-Alfano purtroppo conferma e continua. Ecco il primo punto: nessuno può dire che in 20 anni di quasi ininterrotta egemonia berlusconiana vi sia qualcosa da ricordare, un cambiamento che in qualsiasi modo abbia modernizzato il Paese e lo abbia accostato ad altri Paesi della stessa tradizione occidentale, industriale e democratica. Sono avvenuti molti interventi, ma tutti di spaccatura, demolizione, rimozione, cancellazione, blocco di funzioni e normali attività istituzionali, aggressioni del potere esecutivo agli altri poteri dello Stato, oppure dell’esecutivo e del legislativo che fanno insieme mobbing contro il giudiziario. 

Se volete un simbolo, il più noto nel mondo è la cancellazione del falso in bilancio. È un punto in cui si incrociano la legge, la democrazia e il mercato, con tre esigenze di garanzia che sono state negate. La rimozione di quella garanzia è stato come l’issare la bandiera della pirateria sul galeone Italia per annunciare: “D’ora in poi qui tutto è permesso”.
Ma il vero delitto era avvenuto prima e si chiama ‘conflitto di interessi’. Quando uno può governare allo stesso tempo un Paese e le sue aziende, ed è lasciato libero di farlo per un numero tanto grande di anni, avviene, da parte di chi tace e consente, una sorta di concorso nell’attività distruttiva dell’impresa Italia, che per vent’anni non si spiega, finché non nasce – come è accaduto adesso – un governo insieme. Insieme con chi? Voltiamoci a guardare con chi stiamo collaborando.

Prima viene Genova, dove si sperimenta una macabra Disneyland delle fioriere, delle esecuzioni in piazza e delle torture in caserma, che sconvolgono un mondo di giovani italiani e stranieri travolti da una repressione inutile e selvaggia, che non hanno dimenticato. Funzioni, direttive, ordini sono rimasti oscuri, come i misteriosi black bloc ferocemente distruttivi, perfettamente organizzati e mai identificati, mentre masse di ragazzi inermi e innocenti venivano investiti da un violento vento cileno, bestiale ma non folle. C’era un progetto, all’inizio di una alleanza di governo che poi si è spezzata ma al momento era forte, assurda e compatta, un progetto che è stato fermato solo dal fatto che una parte della polizia e dei giudici non si sono prestati. Perché assurda? Perché, con alto senso delle istituzioni, Berlusconi, l’uomo del conflitto di interessi e del falso in bilancio, appena possibile ha affidato il ministero della Difesa a ciò che resta in Italia della destra fascista; e il ministero degli Interni al leader di un partito secessionista, la Lega Nord per l’indipendenza della Padania. Il primo, come tutti i fascisti, ha giocato la carta dei caduti ovvero dei morti, dalla tragica imboscata ai soldati indifesi di Nassirya che credevano di essere impegnati in una missione di pace, al famoso evento che si ricorda con le parole misteriosamente registrate “adesso ti faccio vedere come muore un italiano”.

Il secondo invece ha avuto mano libera nelle persecuzioni degli immigrati, nell’inventare prigioni senza giudice e senza regole, aperte alle intemperie ma non ai diritti, e nei famosi e tragici “respingimenti in mare” che voleva dire deliberato abbandono dei naufraghi in presenza di motovedette italiane armate di ultima generazione con ufficiali libici e marinai e armamento italiano, obbligati a obbedire da un indimenticabile trattato Italia-Libia che offriva anche altissime cifre in dollari alle bande che si impegnavano, nelle prigioni libiche o in mare, a eliminare per conto Italia gli immigrati, donne, bambini e titolari del diritto d’asilo inclusi.

È un percorso che fa paura questo che porta al governo collaborazionista delle “grandi intese”, ma non abbiamo ancora parlato della Giustizia (bisogna punire i giornalisti definendo gli articoli sgraditi “diffamazione” e moltiplicando le pene; bisogna vietare le intercettazioni, qualunque sia il reato su cui si sta indagando; bisogna sbriciolare il reato di concorso esterno in attività mafiosa troppo ingombrante per troppa gente, bisogna fermare in tempo “i giudici politicizzati”.

Come li individui? Decide l’imputato. E non abbiamo detto nulla della devastazione personale, morale e professionale, introdotta nell’epoca della violazione di tutti i diritti, dal quasi totale dominio (a cui si aggiunge la spontanea cortesia) dei media che ti cancellano o ti diffamano a richiesta di governo. Non abbiamo detto che più passa il tempo, più l’austero personaggio che adesso si è piazzato alle spalle del Pdl, nelle vesti dello statista senior, diventa ogni giorno di più materiale adatto alla farsa, che sarà una ferita irrimediabile per l’Italia, della nomina a senatore a vita o peggio. Nulla ci salva dal peso e dalla colpa del pregresso. Nulla tranne i giudici. Ecco perché ci hanno detto per vent’anni di non sperare nei giudici. Perché restano l’ultima speranza.

Il Fatto Quotidiano, 2 Giugno 2013

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