Roma è una città nella quale, nonostante interesse e disinteresse abbiano finora pervicacemente ostacolato qualsiasi tentativo di ridare dignità alla sua forma urbana, esistono ancora molte occasioni.
In ogni Municipio luoghi nei quali l’architettura avrebbe la possibilità di farsi urbanistica. Ricostruendo legami dove da tempo immemore ci sono cesure. Riavviando processi di crescita in spazi abbandonati. In cubature non soltanto vuote, ma svuotate. In questa fiera delle occasioni mancate Testaccio-Ostiense-Marconi ha probabilmente il ruolo di incontrastato capo-fila. Tante le aree nelle quali l’abbandono prolungato si è trasformato in degrado.
L’avvio di progetti di riqualificazione la chance per indagini archeologiche in un quadrante nel quale le possibilità di scoperte di rilievo era ipotizzabile. Dall’ex mattatoio all’ex Mira Lanza. Dagli ex Mercati Generali all’ex Federazione italiana dei Consorzi agricoli. Grandi speranze alimentate quasi ovunque dall’avvio delle operazioni, per cosi dire, preliminari. Che nella gran parte dei casi tali continuano a rimanere. Preliminari ad una fase successiva della quale in nessuna parte si vede la ben che minima traccia. Storie differenti ma per certi versi uguali. Come quella del complesso dell’ex Federazione italiana dei Consorzi agricoli in via del Porto Fluviale, a breve distanza dal ponte di Ferro che congiunge l’Ostiense con Marconi. Il complesso, delimitato da via del Commercio, dal lungo fiume e dagli edifici della Dogana Vecchia. Poco lontano dal Gazometro. La loro realizzazione, nel 1919, uno dei cardini dello sviluppo dell’intero quadrante Ostiense in funzione della sua destinazione a zona industriale e di servizi strategici della città indicata nel Prg del 1909. Un bel progetto di sviluppo, insomma. A lungo in essere. Da molti anni, non più.
Quelle poche persone che passano ogni giorno sul dissestato marciapiede che costeggia l’area, lungo via del Porto fluviale, sono più impegnate a schivare le bottiglie vuote lasciate la notte dai clienti dei vicini locali che a buttare un’occhiata “dentro”. Nell’unico punto in cui nella recinzione, alta e “impenetrabile”, si apre un varco. Proprio all’altezza di dove si conserva, parzialmente, l’edificio originario, principale. Sulla cui facciata, fronte strada, sono state montate delle putrelle di ferro a contrasto. Un sostegno immaginato come provvisorio alla struttura, per scongiurare pericolose lesioni. Anche perché si è scavato per diversi metri al di sotto del piano di spiccato dell’edificio, scoprendo così pericolosamente le fondazioni. L’unico per ora a beneficiare di questa situazione e di questo spazio è un senza tetto che sì è costruito un riparo di fortuna, in coincidenza dell’apertura sulla strada. Con una qualche difficoltà, alzando lo sguardo, sulla parete “puntellata” fino a qualche tempo fa si poteva vedere il cartello con le indicazioni sul cantiere. Inserito tra quelli finalizzati al “Piano Urbano Ostiense”, con prot. N. 39476 del 19 giugno 2008. In fondo un’opera neppure tanto vecchia, verrebbe da dire, pensando ad esempio a quel che accade ai vicini ex Mercati Generali, per i quali si è iniziato nel 2003. Il problema è che qui al Porto Fluviale si è fermi da tempo.
Per rendersene conto, se non si è impiegati negli uffici della Dogana, dalle cui finestre si ha una bella vista sull’area, è sufficiente costeggiare la recinzione e raggiungere il lungo fiume. Dove si apre un cancello che permette di guardare dentro. Lo spazio rettangolare, scavato per intero per alcuni metri al di sotto del piano di calpestio attuale. La vegetazione, che cresce incontrastata da anni, in diversi punti si è quasi re-impadronita dell’area. Soprattutto lungo i margini, dove ci sono diversi arbusti, oltre a rovi infestanti. Ma anche al centro non mancano sterpaglie. Il prolungato abbandono ha naturalmente favorito l’utilizzo dell’area come discarica. Immondizie di ogni tipo spuntano qua e là. A ben guardare, tra immondizie e rovi c’è dell’altro. A partire dal 2002, nell’ambito di un progetto di ricostruzione geoarcheologica del quadrante Ostiense comprendente le aree ex Italgas, gli ex Mercati Generali e l’area del costruendo Ponte della Scienza, sono stati effettuati prima numerosi sondaggi geognostici e poi delle indagini archeologiche. Le quali hanno rilevato la presenza di alcune strutture riferibili ad un casaletto settecentesco e, a livelli più bassi, di importantissimi resti di età romana, riferibili a fasi successive. Un possente muro in opera incerta e due edifici in laterizi con pavimento in mosaico e decorazioni in cotto, forse con destinazione funeraria. Naturalmente lo stato di conservazione non può dirsi dei migliori, considerato il prolungato abbandono. Lo stesso che può rilevarsi in un altro settore dell’area. Dove rimangono alcune tombe a fossa, di età imperiale, scavate negli strati limosi relativi a esondazioni del Tevere.
Prima dell’abbattimento della quasi totalità degli edifici il tentativo dell’Associazione italiana per il patrimonio Archeologico Industriale. Nulla da fare. La delibera della Giunta Comunale del 12 gennaio 2005 n. 3 e la successiva ratifica del Consiglio comunale, seduta del 25 gennaio 2005 ha stabilito di fare quasi completamente tabula rasa di quel complesso per lasciare spazio alla costruzione ex-novo di 5 palazzi per abitazioni e negozi. Per la felicità del pool dei costruttori che avevano investito sull’area.
Architettura assente che non può trasformarsi in urbanistica e archeologia praticata e poi abbandonata, che non contempla né tutela, né valorizzazione. Anche così si può leggere la storia del complesso dell’ex federazione italiana dei Consorzi agricoli. “Dentro” e “fuori” quel rettangolo in abbandono, il vuoto. Da riempire con buone idee che siano il puzzle di una visione d’insieme della Città. Non con nuovo cemento.