Insomma, dopo 7 anni di insegnamento nelle università nord americane penso di essermi fatto un’idea abbastanza precisa di come funzionano alcuni meccanismi. Senza dubbio c’è una maggiore meritocrazia generale, rispetto all’Italia. Ma questo non significa certo che in Canada o negli Usa vengano assunti sempre e solo i più meritevoli: i piccoli nepotismi, le clientele politiche, le scelte da piccoli uomini, che poi si rivelano spesso se non sempre dei formidabili boomerang sul piano della fama internazionale, della capacità di ricerca scientifica e di conseguente attrazione di studenti brillanti del dato dipartimento che assume non i migliori prof, esistono ovunque.
Ok, non con la stessa intensità con cui esistono in Italia, ma esistono. Restringendo il discorso ai dipartimenti di Italianistica, che di solito in Nord America si chiamano di “Italian Studies“, è purtroppo vero che in alcuni di essi si è teso a ricreare una little Italy anche per quanto riguarda raccomandazioni sporche, omertà e quelle famose “conventicole” parassitarie di cui ci parlava uno dei protagonisti del bel film Caterina va in città.
Cosa sono le raccomandazioni sporche? Beh il sistema anglosassone funziona, di norma, per raccomandazioni pulite, alla luce del sole: i professori che hanno lavorato con te – non importa se tu eri solo un dottorando o già un ricercatore – sono chiamati quasi sempre a esprimere il loro sostegno a una tua candidatura di lavoro per una nuova università tramite una lettera di referenza. Queste lettere, di norma, non sono nemmeno accessibili ai singoli candidati che le richiedono, sono spedite direttamente dal tuo referente all’università che chiede la referenza, per cui potenzialmente il proprio referente potrebbe anche affossare il candidato nel suo scritto di – a quel punto – finto sostegno. Naturalmente, non succede mai, o quanto meno molto poco spesso. Se si ha un’opinione negativa del candidato che chiede una lettera di referenza, gli si inventa una scusa e la lettera non la si scrive proprio. Se si è persone corrette, almeno.
Le raccomandazioni sporche sono invece quelle di solito non scritte, ma espresse oralmente, in modo che non rimangano tracce. Mettete che io sia un preside che è stato eletto a preside nelle elezioni dipartimentali per pochi voti, magari contro un candidato sulla carta più prestigioso di me, e che alcuni di quei voti siano arrivati dai miei studenti di dottorato. La cosa che mi preme di più è far sì che i miei voti non volino via, ossia che il mio dipartimento assuma, come ricercatori o lecturer, il più alto numero possibile di miei studenti di dottorato.
Ecco che, magicamente, può darsi che una mia studentessa di dottorato che non ha ancora il titolo di Ph.D. in tasca riesca a vincere sopra candidature ben più oggettivamente solide e strutturate, di gente che non solo ha già conseguito il titolo, ma magari ha anche delle buone pubblicazioni accademiche e ha dimostrato di avere talento anche nell’insegnamento, perché magari è anche un pedagogo e ha valutazioni degli studenti molto buone. Il comitato di assunzione, dove io che sono preside ho già una voce non indifferente, terrà conto della raccomandazione orale, che magari sarà giustificata col fatto che la mia studentessa “la conosciamo tutti”, “sappiamo che ha un buon carattere”, “si applica tanto”, eccetera eccetera. Perché mai rischiare e assumere il candidato più titolato ma ignoto? Ed ecco che il gioco è fatto e la raccomandazione sporca consolida un ambiente accademico già malato, in una spirale sempre più difficile da interrompere: alle prossime elezioni io che sono il preside scarso, potrò contare su più voti interni, rispetto al mio collega luminare.
Nel prossimo post parleremo di cosa sono le valutazioni degli studenti, e di come, anch’esse, nascondano pro e contro.