Bastano due rate non pagate, una bolletta persa o dimenticata. Basta perdere il lavoro, la parcella salata del dentista o i libri per i figli, insomma basta poco. E il telefono di casa squilla implacabile. Finanziarie, funzionari della banca, recuperatori, avvocati. Quel suono familiare diventa presto un incubo e a volte, purtroppo, è solo l’inizio. Come può finire lo racconta una signora in lacrime che inforca di corsa il portone dell’Adusbef di Lecce: “Avvucatu, m’hanno ditto che pijano u’piccinnu miu..”. É sulla cinquantina, stazza robusta, ma singhiozza e nasconde il viso come una bambina. Farfuglia di un debito di 5000 euro con una finanziaria che le ha intimato il pagamento della rata minacciando di toglierle la casa e fare un’ingiunzione per sottrarle i figli. Quando rialza la testa si accorge che nella sala d’attesa dell’associazione non è sola. Sono le dieci di sera e ci sono ancora cinque persone in fila, tutte con lo stesso problema racchiuso in plichi zeppi di avvisi, solleciti e ingiunzioni. Il volto di lei è tiratissimo, non si trattiene. La fanno sedere, le portano dell’acqua e quando riprende fiato racconta tutta la storia, l’ennesima, di un debitore incagliato nel retino degli esattori spietati della crisi. Che da queste parti non vanno per il sottile.

Lo racconta il vicepresidente dell’associazione Antonio Tanza, a capo di un team di legali che sono ormai l’ultima scialuppa per tanti disperati. “Questi”, indica con un filo di rassegnazione, “questi sono i cartolarizzati del credito-spazzatura, quelli che il sistema delle banche e delle finanziarie ha messo in mano a recuperatori senza scrupoli. Pretendono anche quando sanno che non c’è più nulla o quasi da prendere, e arrivano a battere la sola strada che gli resta”. Quella della paura, del logoramento e del ricatto. Il gioco del credito si è fatto duro e la ragione sta, almeno in parte, nei numeri.

1. Gli italiani non pagano più

Negli anni della crisi il popolo dei piccoli risparmiatori è praticamente morto, sostituito da quello degli indebitati fino al collo che non ce la fanno a pagare le rate. E infatti non le paghiamo. Nella Centrale Rischi della Banca d’Italia famiglie e imprese hanno cumulato sofferenze per oltre 130 miliardi. Tra le mani degli “agenti della tutela del credito” ci sono ormai 3 milioni di pratiche affidate, per un valore di 43 miliardi di euro. La massa dei crediti insoluti in sei anni è quasi triplicata tra prestiti, ratei, mutui, scoperti bancari, carte di credito revolving e canoni leasing. Non si pagano più neppure acqua, luce e gas: solo nell’ultimo anno abbiamo messo nel cassetto una bolletta da 14,6 miliardi. Insomma, non ce n’è più per nessuno. E se nessuno paga più, anche il mestiere dell’esattore si fa duro. Nel 2007, per dire, tre recuperi su dieci andavano in porto, oggi soltanto due. La provvigione media dell’agente è scesa dal 6,3% del 2008 al 5,47. La crisi sta investendo anche la florida industria del recupero e fa traballare 30mila addetti e 1.332 imprese. E se l’esattore della crisi va in crisi pure lui, non è l’unico a doversi preoccupare.

2. Da “agente per la tutela del credito” a moderno inquisitore

Morsi al tallone dall’incertezza, questo il punto, gli “agenti per la tutela del credito” rischiano di trasformarsi in implacabili gendarmi della riscossione, moderni inquisitori disposti a tutto per recuperare qualche soldo. “Parenti prossimi e queruli degli ufficiali giudiziari – denuncia l’avvocato e blogger Mariano Casciano – rispondono alla mancanza di titoli legali con le armi del telefono e della parlantina, se va bene”. Ti può capitare quello “comprensivo e paterno”, o il tipo “autoritario e sgarbato”, fino al vero e proprio stalker creditizio, quello che impugna le armi pesanti della persecuzione, della mistificazione e della minaccia.

In rete c’è una sterminata casistica di abusi denunciati da malcapitati debitori: intimidazioni, propalazione di notizie riservate a vicini di casa, datori di lavoro e familiari, minori inclusi. Poi ci sono anche i “fantasisti”, gli inventori di ingiunzioni di pagamento totalmente false che inducono a scambiare l’innocuo sollecito per titolo esecutivo. “Per spaventare la gente e accreditare le minacce – spiega Massimiliano Dona dell’Unione Consumatori – riproducono intestazioni e loghi coi caratteri grafici del Tribunale e del Ministero delle Finanze”.

Raramente le vittime riescono a sottrarsi e denunciare. Ed è l’altra metà del problema. “Tra le conseguenze immateriali della crisi Mariano – si assiste alla trasformazione del debitore in un peccatore, un colpevole che, se non può pagare, deve espiare la sua colpa. E allora, nell’indifferenza generale, contro di loro tutto è permesso”. La crisi divide gli italiani per classi di debitori ed esattori, due grandi categorie che si rincorrono a una distanza sempre più corta e la disperazione negli occhi. E alla fine della corsa e degli scontri, come racconta Enrico Verra in un bel documentario (“Vite da recupero”, 2011), “i confini tra gli antagonisti cominciano a farsi opachi. Le occhiaie di un recuperatore stressato, non sono lontane da quelle dell’operaio che non dorme la notte nel terrore che gli portino via la casa”.

3. Alla fiera del credito deteriorato

Qualcuno finisce nel tritacarne a sua insaputa, altri vengono venduti col loro carico di insolvenze al miglior offerente attraverso la cartolarizzazione dei crediti deteriorati, un sistema del tutto legale che spinge però debitore e recuperatore lungo una china pericolosa. Dopo anni di finanziamento facile, banche e finanziarie si ritrovano oggi insolvenze enormi in pancia. Tante che il rapporto 2013 della Banca d’Italia sulla stabilità finanziaria le stima in 22 miliardi, il 13% è composto da titoli deteriorati tra sofferenze, incagli, crediti ristrutturati e scaduti. Ed è su quei 2-3 miliardi che si consuma la fiera che arma l’aguzzino di turno. “Il meccanismo è lo stesso dei titoli tossici”, spiega l’avvocato Tanza di Adiconsum. “Fino a che hanno una prospettiva di recupero coperta da garanzie, banche e finanziarie si tengono il credito e lo fanno trattare dalle proprie divisioni specializzate”. Quando la prospettiva scende sotto una certa soglia, preferiscono invece allontanare il rischio e iniziano a vendere pacchetti di titoli non garantiti o in scadenza a società esterne con vere e proprie aste. “Non valgono nulla ma venderli un tanto al chilo conviene lo stesso perché hanno già iscritto quelle somme come perdite. Il factoring a volte è un modo per sistemare i bilanci”. La prima cessione ha un certo prezzo, il 25-30%, e contiene magari la pratica buona che la banca aveva preliminarmente affidato alla propria società. “Poi si arriva a quotazioni minime e gli unici disposti a prenderseli sono quei recuperatori finali cui non interessa affatto il rientro del debito ma fare giornata prelevando, in continuazione, somme modeste ai malcapitati di turno del tutto ignari di essere stati ceduti”.

Le regole ci sono, la vigilanza pure, ma sul mercato del factoring operano anche centinaia di fondi esteri dai movimenti difficilmente tracciabili e società casalinghe e corsare che si volatilizzano quando sentono puzza di bruciato (l’elenco sul sito della BI). “I pacchetti tossici viaggiano da una all’altra fino all’ultima Srl che – con l’aiuto di qualche scagnozzo – punta a portarsi a casa qualche centinaia di euro”.

da Il Fatto Quotidiano del 3 giugno 2013

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