Sfogliate attentamente il testo integrale della Costituzione, la trovate anche su Internet (io l’ho letta con i tanti episodi curiosi che portarono alla sua scrittura nell’ebook “RiCostituiamoci” di Salvatore Giannella). Non troverete mai la parola “riforma”. Adesso prendete un qualsiasi quotidiano, di destra, di centro o di sinistra. Troverete la parola “riforme” a ogni piè sospinto. Tutti parlano di riforme. Tutti vogliono fare le riforme. Insomma, tutti pazzi per le riforme! Anche quando non c’è nulla da riformare. Che paese l’Italia! Un popolo di santi, poeti, navigatori e da qualche tempo in qua di riformatori: o neo riformisti che nemmeno conoscono il senso della parola.

Ci sono parole nel nostro linguaggio che diventano improvvisamente abusate o termini retorici senza un riscontro oggettivo nella realtà. Fare le riforme è lo slogan di tutte le forze politiche e non. Quasi un intercalare che riempie il vuoto silenzioso di chi non sa che dire. Ma quali riforme? In che modo? Con che logica? Con quale criterio? Riforme annunciate e mai attuate. E poi a pensarci  bene il termine riforme spesso non significa riformare in meglio… ma a volte in peggio! E allora poi è necessaria la riforma della riforma e, la riforma della riforma cosa fa? Fa perdere tempo. Crea scompensi sociali, istituzionali. Ogni disciplina ha la sua riforma. Anche il condòmino vorrebbe riformare qualcosa.

Riformiamo tutto! Ecco il manifesto della terza Repubblica. Insomma, è una parola in movimento che ha anche una radice storica ma spesso è solo una parola italiana! E “nebulosa” al punto tale che ricorda passi memorabili di Goethe:

Faust: E che dir vuole/Codesto gioco di strane parole?

Mefistofele: Son lo Spirito/Che nega sempre, tutto

Chi forma la riforma? Si chiede il costituzionalista Michele Ainis che aggiunge  “Gira e rigira, stiamo sempre attorno a un palo: le procedure, il metodo, prima ancora del merito. E sulle procedure ciascun partito va a zig zag. Vale per la Convenzione, questa creatura mitologica che dovrà allevare le riforme”.

Una Convenzione per la riforme istituzionali sulla scia del gruppo dei saggi “Napoletani” i quali, nella premessa della Relazione finale, annunciano, con voce solenne, alla Nazione che:

“L’Italia ha bisogno di riforme in grado di ravvivare la partecipazione democratica, di assicurare efficienza e stabilità al sistema politico e di rafforzare l’etica pubblica: principi e valori che costituiscono il tessuto connettivo di ogni democrazia moderna e ingredienti del suo successo nella competizione globale. Le proposte contenute nel rapporto possono concorrere a migliorare il funzionamento della nostra democrazia contribuendo ad attivare i processi di crescita economica e sviluppo sociale”.

Ora, a leggere con attenzione questa ultima frase è del tutto evidente il nobile (almeno nelle intenzioni) contenitore che ha però necessariamente bisogno dei contenuti. E qui viene il bello.

La riforma Fornero, ad esempio, ha provocato reazioni a destra e manca. Tanto è vero che tutti hanno affermato: “Ah! Se vinciamo noi qui cambia tutto!”. Nessuno però ha vinto e, dunque, la Riforma forneriana non sarà del tutto contro riformata. Tanto è vero che il neo ministro Enrico Giovannini ha deciso di lasciare in vita almeno qualche effetto. Ecco appunto, qualche effetto che al momento non ci è dato conoscere. Dunque trattasi di esodato dalla “contro” riforma.

Nel quadro attuale, le riforme sono essenzialmente delle “controriforme”; si pensi all’ètimo di “forma” che deriva dal greco “formòs”, “cesta” contenitore. Nel linguaggio comune l’espressione “forma” fa riferimento a qualcosa che incide, dunque, sul contenuto. E la parola “riforma” ci riporta direttamente alla nota espressione di Machiavelli: “in Italia vi era materia alla quale dare una nuova forma”. Oggi, piuttosto, la lente delle riforme dovrebbe essere puntata sulla “sostanza” di alcune cose effettivamente da cambiare perché necessarie alla vita del Paese, al fine del concreto raggiungimento di un vero welfare state.

Essendo Machiavelli conosciuto da pochi, farò riferimento a un opinionista recente e più conosciuto al grande pubblico: Adriano Celentano, che nel Mondo in mi7 cantava: “Prendo il giornale e leggo che di giusti al mondo non ce n’è. Come mai il mondo è così brutto? Siamo stati noi a rovinare questo capolavoro sospeso nel cielo”. Adesso è più chiaro perché nostri i Padri Costituenti non accennarono mai al termine riforme nella Costituzione.

Forse è un segno per farci capire di andar cauti nel riformare questo “capolavoro sospeso nel cielo”.  

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Crisi, i conti non tornano solo per chi la subisce…

next
Articolo Successivo

Decrescita (I): storia di una parola usata (molto spesso) a sproposito

next