Tra i suoi ranghi ci sono ex poliziotti, agenti dei servizi segreti, Fbi e Cia, ma anche ex giornalisti investigativi, analisti finanziari, commercialisti e perfino premi Pulitzer, che vengono ingaggiati da aziende private per indagare su qualcuno, pedinarlo, tracciare collegamenti e recuperare documenti top secret. La Kroll, la società investigativa americana leader nel mondo con 3.700 dipendenti in oltre 35 Paesi, ha sempre più clienti italiani. E, mentre le aziende della Penisola chiudono i battenti, la divisione tricolore del gruppo ha terminato il 2012 con quasi 200mila euro di utili, ben oltre i 21mila dell’anno precedente, con ricavi saliti da 1,4 a oltre 2 milioni (un balzo notevole anche se il periodo considerato nel bilancio è passato da 9 a 12 mesi). Ma i prezzi dei servizi offerti sono tutt’altro che economici. Il loro costo – spiega Marianna Vintiadis, presidente e amministratore delegato di Kroll Italia – va da 12mila euro a diversi milioni, con un listino ben preciso: per chiedere un pedinamento, per esempio, bisogna spendere 200 euro all’ora.
Bonomi ingaggia gli 007 per arginare le fughe di notizie alla Bpm
L’ultima azienda italiana a ingaggiare gli 007 della Kroll è stata la Banca popolare di Milano, con l’obiettivo indicato dalle agenzie di stampa che hanno riportato l’indiscrezione “di arginare le fughe di notizie”, finite di recente anche nel mirino del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Il consiglio di gestione dell’istituto guidato da Andrea Bonomi, che si è arreso di recente ai soci-dipendenti mettendo in un cassetto il progetto di trasformare la banca cooperativa in società per azioni, avrebbe quindi incaricato gli esperti dell’agenzia internazionale di trovare il colpevole. In una recente lettera, Visco aveva chiesto indicazioni su alcune criticità della governance Bpm, invitando i presidenti del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza a segnalare quali iniziative fossero state prese per fronteggiare le fughe di notizie riportate dai giornali prima della stessa società, con una notevole precisione.
Esattamente come la Bpm, sempre più aziende italiane chiedono aiuto ai detective della Kroll e di altre società investigative senza badare a spese, soprattutto in Veneto, Piemonte e Lombardia. Un sondaggio pubblicato l’anno scorso dalla stessa Kroll mostra che i clienti della divisione italiana del gruppo sono al 90% italiani, mentre nel 2007 il 70% delle indagini commissionate proveniva dall’estero. ”Una maggiore attenzione – racconta Vintiadis – dovuta al fatto che un investimento sbagliato, un contenzioso che finisce male o una piccola frode interna in tempo di crisi possono davvero compromettere le sorti dell’azienda”. Così si spiega il forte aumento dei profitti messo a segno l’anno scorso da Kroll Italia, che ha generato dividendi per oltre 184mila euro, non assegnati nel 2011.
Meno detective specializzati in corna, più esperti anti-hacker
Il boom di richieste di servizi investigativi dalle aziende italiane è avvenuto di pari passo a una trasformazione della figura professionale dell’investigatore nel nostro Paese. Le riforme degli ultimi anni hanno reso più selettivo il procedimento per ottenere la licenza investigativa e aumentato i costi per chi opera nel settore, per esempio obbligando ad assumere i collaboratori esterni, un dovere che ha spinto verso la chiusura le agenzie più piccole, che tra i clienti avevano soprattutto privati. Sono così usciti dal mercato i detective che, per esempio, erano specializzati nei pedinamenti d’amore, ingaggiati da mariti gelosi per controllare la moglie o viceversa. Contemporaneamente si sono rafforzate le imprese più consolidate, che ora lavorano quasi esclusivamente per aziende di altri settori, anche perché con la crisi – come spiegano gli esperti della materia – sono sempre meno i clienti disposti a pagare fior di quattrini per “questioni d’infedeltà”.
Le richieste d’intervento attualmente arrivano soprattutto da piccole e medie imprese, nonostante siano le categorie più colpite dalla crisi. Gli uomini della Kroll, per esempio, lavorano per imprenditori che sono alla ricerca di un’azienda con cui fare affari in un altro Paese, indagando sull’affidabilità e la reputazione del partner straniero. Le indagini possono riguardare anche la vita privata di manager e imprenditori: i detective, per esempio, possono essere chiamati a controllare se la persona su cui un’azienda vuole fare affidamento in un altro Paese faccia uso di stupefacenti, perché questo potrebbe avere conseguenze sul business. Un altro servizio molto venduto riguarda invece il cyber crime, con le aziende a caccia di protezione dagli hacker, sia preventiva sia riparatoria. Sempre più società italiane , poi, arruolano i detective per fare chiarezza su frodi o episodi di corruzione interna.
Ex poliziotti con cimici e telecamere nascoste. Ma anche mezzi “sporchi”
A svolgere queste operazioni, nell’ufficio milanese del gruppo, sono otto dipendenti, con una divisione di tecnici specializzata in recupero dati e prove da presentare in giudizio. Ma l’azienda si serve anche di collaboratori esterni, che appartengono, o sono appartenuti, alle categorie professionali che hanno un accesso più facile alle informazioni: ex carabinieri e poliziotti, analisti finanziari, commercialisti e giornalisti. Gli esperti utilizzano informazioni di pubblico dominio come i database della Camera di commercio, ma vanno anche alla ricerca di informazioni riservate utilizzando microfoni, cimici e perfino telecamere nascoste nel caso di furti ripetuti. Tra le fonti più efficaci, fornitori, clienti o ex dipendenti dell’azienda su cui si indaga.
La linea tra legalità e illegalità è però sottile quando si parla di spionaggio. E’ infatti molto diffuso tra le società che operano nel settore – soprattutto di piccole dimensioni – ricorrere a mezzi “sporchi” per arrivare più velocemente al risultato, impossessandosi per esempio senza permesso di tabulati telefonici oppure di informazioni riservate sui conti correnti bancari.
I casi più discussi: dalla Telecom di Tronchetti Provera alla Parmalat di Bondi
La rigidità dei regolamenti italiani non ha impedito ai detective della Kroll di rispondere alle chiamate delle aziende, con operazioni che hanno fatto spesso discutere. Uno degli episodi più noti è la “guerra di spie” tra Telecom e Kroll, che ha messo nei guai l’allora numero uno del gruppo Marco Tronchetti Provera, accusato di ricettazione. L’episodio risale al 2004 quando, nella lotta per il controllo di Brasil Telecom, i segugi della Kroll erano stati ingaggiati dal fondo Opportunity del banchiere brasiliano Daniel Dantas per indagare sul gruppo di telecomunicazioni italiano.
Gli uomini di Giuliano Tavaroli, all’epoca capo della security di Telecom e Pirelli, riuscirono a far arrestare i rivali della Kroll, dimostrando che avevano intercettato illegalmente lo staff di Tronchetti Provera per conto di Dantas. Ma lo stesso Tavaroli è stato poi accusato di avere hackerato un computer della Kroll prelevando alcuni tra i dossier più delicati, come la cartella con i veleni su Massimo D’Alema. Un caso, quello di Telecom e Kroll, che è ancora aperto, con la prossima udienza fissata per il 20 maggio.
Gli investigatori della società investigativa americana sono stati ingaggiati anche dal commissario straordinario di Parmalat Enrico Bondi che, al suo arrivo nel gruppo nel 2004 decise di avviare una ricerca privata per capire il giro di denaro che l’ex proprietario Calisto Tanzi era riuscito a organizzare. Ha firmato quindi un ricco accordo con gli 007 americani pagandoli, secondo indiscrezioni di stampa, 100mila dollari alla settimana. Gli investigatori privati sono riusciti così a scoprire conti intestati all’ex patron di Collecchio per 8,9 milioni di euro e decine di appartamenti, insieme a uno yacht nascosto a La Spezia. Poca roba, comunque, rispetto al buco da 14 miliardi.
“Gli americani che investono qui ci chiedono subito se c’è rischio tangenti”
La Kroll non è però l’unica agenzia investigativa presente in Italia. “Si rivolgono a noi e non alla guardia di finanza perché in tal caso i tempi sono molto più lunghi”, spiega Giovanni Falco, presidente di Geax group, un’agenzia investigativa nata nel 2004 che ha chiuso il 2012 con circa 850mila euro di fatturato e 85mila euro di utili, confermando che l’aumento di clienti è dovuto anche al fatto che la crisi ha aumentato il rischio di frodi.
Falco, ex ufficiale della guardia di finanza specializzato anche in anti terrorismo, ha deciso di mettersi in proprio dopo un periodo come security manager del gruppo Prada. Tra i suoi clienti ci sono soprattutto aziende italiane, ma anche società estere e qualche governo straniero. “Le indagini sulle frodi portano spesso in Svizzera, alle Cayman o a Gibilterra”, racconta. E aggiunge: “La prima cosa che ci chiedono i clienti americani che vogliono aprire un’attività in Italia è se il settore in cui vogliono operare è a rischio tangenti oppure se il partner a cui si vogliono affidare è corrotto”.