“Perché l’Italia torni ad essere tra le prime 3 mete turistiche mondiali, nei prossimi 3-4 anni serve uno sforzo collettivo. Fatto di lavoro duro. Fondato sulla presenza di risorse aggiuntive e teso a riqualificare l’offerta, migliorare la sincronia tra Stato-Regioni-province autonome, attrarre investimenti esteri, innovare agganciando il settore ricettivo all’agenda digitale, rendere il ruolo dell’Enit più incisivo sui mercati del turismo”.
Lo ha detto ieri Andrea Babbi, direttore generale dell’Enit da pochi mesi, in occasione di una partecipata assemblea nazionale di albergatori aderenti ad una nota catena internazionale. Ripercorrendo i termini del piano strategico per lo sviluppi del turismo varato dal precedente governo ed ora nelle mani del ministro Bray.
Servono innanzitutto risorse aggiuntive al settore. Nell’ambiente dell’ospitalità alberghiera si parla di 400-500 milioni ogni anno nei prossimi 3 anni. La maggior parte di essi dovrebbero essere destinati alla riqualificazione delle strutture alberghiere. Queste, come è noto, hanno urgente bisogno, da tempo, di elevare il proprio standard qualitativo.
Ciò dovrebbe avvenire non già attraverso la classica strada dei soldi a pioggia, che in passato hanno sortito ben pochi effetti. Ma attraverso forme di incentivazioni sul modello di quelle usate per le ristrutturazioni delle abitazioni, nonché utilizzando un meccanismo che premi la costituzione di reti di impresa, sul modello di quanto sperimentato per l’industria e dunque favorisca, oltre alla riqualificazione dell’offerta, un ristrutturazione del tessuto imprenditoriale ancora troppo imperniato su piccole aziende famigliari e scarsamente capitalizzate.
Un centinaio di milioni di euro dovrebbero essere la dotazione di Enit, in linea con i budget degli omologhi enti di promozione turistica presenti in paesi come Francia, Germania, Gran Bretagna. Perché – come ha ricordato Babbi – attualmente Enit, al centro di una profonda ristrutturazione dopo anni di abbandono, può disporre di soli 18,5 milioni di euro.
Di questi, 16-17 servono per pagare i costi strutturali e meno di 2 milioni possono essere usati per attività di promozione sui mercati. “Si tratta di risorse oggettivamente non sufficienti – ha precisato Babbi – per riuscire a tradurre in azioni concrete il piano strategico di rilancio del turismo messo a punto nei mesi scorsi e per mettere in condizione le 25 sedi di Enit nel mondo – che occupano 120 dei 200 suoi dipendenti – di investire come dovrebbero”.
Ma, prima ancora delle risorse in campo, il turismo – come ha puntualizzato Babbi – ha bisogno di chiarezza. É sempre più urgente capire chi fa che cosa. Perchè l’Enit rischia di continuare ad essere poco incisiva fino a quando non si farà ordine nel confuso quadro normativo esistente in materia di turismo.
Quello scaturito dalla scellerata riforma del titolo V, in forza della quale è stata attribuita una competenza esclusiva alle Regioni in tema di promozione e commercializzazione turistica. Con il risultato che, in assenza di chiari principi regolatori a livello centrale, 21 regioni si sono promosse in 21 modi diversi – e con essere pure i territori provinciali – poche sono state in grado di vendersi, ogni territorio ha messo in pista una propria strategia, troppe volte improvvisata, di posizionamento sui diversi mercati ed ogni regione si è data una propria disciplina sui criteri di classificazione delle strutture ricettive. Nel gran caos che da tutto ciò è derivato ha perso pesantemente il sistema paese e la capacità competitiva del brand Italia sui mercati mondiali.
Da un urgente riordino normativo si dovrebbe innanzitutto partire anche per dare un senso al nuovo corso all’Enit. Speriamo di ciò ci sia consapevolezza nel governo Letta ed in particolare nel ministro Bray.