Dopo tre anni e mezzo, nel pomeriggio si saprà chi ha ucciso il geometra di 31 anni morto nel reparto detentivo dell’ospedale romano Pertini sei giorni dopo il suo arresto per droga. Alla sbarra ci sono tre poliziotti penitenziari e nove medici del Pertini, accusati a vario titolo di abbandono di incapace, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni ed abuso di autorità
E’ stata una notte difficile per Ilaria, Rita e Giovanni. Una notte senza sogni. “Siamo tesi ma sereni, perché sappiamo di aver fatto tutto il possibile”. Dopo tre anni e mezzo, nel pomeriggio si saprà chi ha ucciso Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni morto nel reparto detentivo dell’ospedale romano Pertini sei giorni dopo il suo arresto per droga. La terza Corte d’Assise di Roma, presieduta da Evelina Canale, si è riunita in camera di consiglio poco dopo le 9,30, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia. E già a quell’ora non sono mancate le polemiche: molte persone, venute a dare sostegno alla famiglia Cucchi, sono state bloccate all’ingresso dagli agenti della polizia penitenziaria, incaricati di far entrare per primi i giornalisti, i cui accrediti, però, non si riuscivano a trovare.
Lungaggini burocratiche, viste con sospetto da qualcuno, che la dicono lunga sul clima di tensione venutasi a creare intorno all’esito del processo. “Non hanno voluto far vedere alla Corte che c’è tanta gente che aspetta giustizia”, si lascia scappare Ilaria, la sorella di Stefano. Alla sbarra ci sono tre poliziotti penitenziari e nove medici del Pertini, accusati a vario titolo di abbandono di incapace, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni ed abuso di autorità. Secondo i pm Barba e Loy, che hanno chiesto condanne comprese tra i sei anni e otto mesi e i due anni di reclusione, Cucchi fu picchiato nelle camere di sicurezza del tribunale di Roma mentre era in attesa dell’udienza di convalida del fermo, e poi in ospedale fu reso incapace di provvedere a se stesso e lasciato senza assistenza.
Un’agonia durata sei interminabili giorni, durante i quali i suoi genitori, Rita e Giovanni, hanno invano bussato alle porte del nosocomio. E sono stati proprio loro, insieme con Ilaria, a combattere ancora, per questi lunghi tre anni e mezzo, “per ottenere ciò che dovrebbe essere un nostro diritto: la verità”. La famiglia, costituitasi parte civile e supportata dall’avvocato Fabio Anselmo (lo stesso dei casi Aldrovandi, Uva e Ferrulli), ha in realtà dovuto scontrarsi soprattutto con la Procura e con i suoi periti, incapaci – a detta dei Cucchi – di vedere fratture e lesioni e di puntare dunque l’accusa tutta sul pestaggio. Durante l’ultima udienza Anselmo ha presentato un’approfondita memoria che sembra mettere nero su bianco il quadro clinico riscontrato durante l’autopsia sul corpo di Stefano. Se i giudici la tenessero in considerazione, non potrebbero che rimandare gli atti in Procura per ulteriori indagini.