Non c’è migliore descrizione della situazione politica dell’Italia che la frase tratta da Il Gattopardo: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. L’Italia sempre uguale, quella dei ribaltoni ma, soprattutto, l’Italia dei corsi e ricorsi storici. La città di Avellino è metafora perfetta per spiegare la filosofia della storia in questo senso. Il prossimo 9 e il 10 giugno, infatti, nel capoluogo irpino si scontrano al ballottaggio i candidati ombra di due democristiani della prima ora: Ciriaco De Mita e Nicola Mancino. I nomi dei due aspiranti sindaco sono sconosciuti ai più: Costantino Preziosi per l’Udc e Paolo Foti per il Pd. La proporzione è bella che fatta: Ciriaco De Mita sta a Costantino Preziosi come Nicola Mancino sta a Paolo Foti. Dietro la sfida dei due giovani competitor/prestanome, però, si cela una sfida molto più grande, quella tra i due vecchi democristiani che hanno segnato la storia della politica, non solo locale. Ad Avellino le premesse per buttarsi alle spalle decenni di quella politica e di quei politicanti c’erano tutte:  al confronto elettorale si sono affacciati con grande ardore ben 8 candidati per la poltrona di sindaco e oltre 600 candidati nelle varie liste. Ma a poco sembra essere servito l’entusiasmo iniziale. Sono rimasti in piedi solo gli uomini che fanno riferimento ai vecchi big della Balena Bianca. Tutto immutato, come trenta anni fa. Pupari che muovono ancora i fili in una città dove hanno sempre rappresentato il potere grazie alla rete di clientele che sono riusciti a crearsi. E, nonostante gli 85 anni suonati dell’ex presidente del Consiglio e i quasi 82 dell’ex presidente del Senato, queste elezioni rappresentano l’atto finale di una sfida geriatrica che decreterà solo chi è il più forte fra i due. Fratelli coltelli, insomma, che fino a pochi anni fa riuscivano a spartirsi pacificamente il potere in Irpinia e in Italia.

Ma è la politica, col suo gioco di alternanze, che unisce e divide. In campagna elettorale, dal palco di via Matteotti ad Avellino, Grillo – che non ha riconosciuto, tra l’ilarità generale, neppure la sua candidata a sindaco – aveva gridato “De Mita vi seppellirà”. E, in effetti, l’uomo che ha segnato il passato e il presente della “sua” Avellino vuole anche il futuro. E nemmeno Mancino, a quanto pare, nonostante i guai per l’inchiesta Stato–mafia, è disposto a cedere. D’altronde Avellino è storicamente la sua roccaforte!

Oggi le sorti della città si traducono in una lotta personale che li ha visti ufficialmente contro già nel 2008, quando De Mita aderì al Pd, ma venne messo alla porta perché rappresentava il vecchio. Veltroni gli impedì addirittura la candidatura al Senato, preferendo una sua ex allieva, Pina Picierno, nota per aver scritto una tesi di laurea proprio su Ciriaco. Scelta intollerabile per De Mita che lasciò il Pd per aderire all’Udc di Casini. E da allora l’obiettivo è diventato indebolire il potere di Mancino in Irpinia.

Non importa chi sarà il futuro sindaco della città. Ancora una volta hanno vinto loro due. Il dato inequivocabile è che trionfa ancora il clientelismo in un territorio in cui De Mita fu accusato finanche di speculazioni nel post terremoto. Lui e la sua famiglia pare trassero i maggiori vantaggi dalla pioggia di finanziamenti di cui fu destinataria l’Irpinia. Ma la memoria è sempre corta. E poco hanno contato i trascorsi dei due ex colleghi democristiani.

Lo spirito gattopardesco per la coppia De Mita – Mancino aleggia da più di 30 anni ad Avellino e provincia. Il machiavellismo dei due leader non lascia spazio al cambiamento. Il modo migliore affinché tutto resti com’era, insomma. 

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