Versamenti fasulli per contributi inesistenti, fatture per corsi di formazione fantasma, e poi promesse non mantenute, minacce, telefonate. Tutto vale per fiaccare la speranza della vittima, ridurla all’incapacità di agire, portarla sull’orlo del suicidio. Imprenditore e famiglia. Storia di estorsione. Storia mafiosa in provincia di Milano? No. Anche se Giuseppe Mangeruca, classe 1960 da Africo, da boss si comporta. E in fondo esempi in casa non gli sono mancati. A partire dallo zio defunto. Quel Costantino Mangeruca, capobastone in confino a Cornaredo, uomo cerniera tra le potenti cosche di Cirò e quelle di Africo. Finirà indagato anche per il sequestro dell’imprenditrice Alessandra Sgarella. E’ il 1997. Negli anni, poi, arriveranno sequestri e confische di beni. La famiglia, però, cresce, si allarga, guadagna. A Cornaredo e zone limitrofe molti sanno chi sono i Mangeruca e girano alla larga. Ecco il contesto. Ora i fatti. L’arresto: Giuseppe Mangeruca ieri è finito in carcere con l’accusa di estorsione. Lo ha disposto il gip Luigi Varanelli. L’inchiesta è tutta degli agenti del commissariato di Rho-Fiera oggi diretto dal sostituto commissario Carmine Gallo per il quale questa “è una storia amara”. La storia di un imprenditore che subisce, sfiora il dramma di togliersi la vita, ma poi ritrova il coraggio di denunciare. Grazie anche all’apporto “morale” e non solo della polizia.

Tutto inizia nel giugno 2011. In quel periodo l’imprenditore gestisce un’attività in proprio di produzione e vendita di pasca fresca. La crisi, però, si fa sentire. Il fiorire di centri commerciali sottrae clienti. Nasce così il progetto di vendere macchinari e conoscenze tecniche a Giuseppe Mangeruca che da lì a pochi mesi, sempre a Cornaredo, aprirà La Fattoria un centro carni. Viene siglato il contratto. L’imprenditore sarà assunto a tempo indeterminato, contratto part-time per la moglie, tempo pieno per il figlio. Per i macchinari si fissa il prezzo di 70mila euro. Già a luglio le cose iniziano a cambiare. Mangeruca chiede all’imprenditore di stracciare il primo contratto e di firmarne altre due, uno ufficiale da 10mila euro e un altro ufficioso da 60mila, denaro da pagare in nero. In realtà, metterà a verbale l’imprenditore, più che una richiesta e un’imposizione. L’imprenditore incasserà solo 3mila. “Nel frattempo però – annotano gli investigatori – la convivenza presso il centro carni diventava sempre più difficile”. Mangeruca “esercitava su di loro una pressione psicologica e intimidatoria, accusandoli di circostanze e situazioni assurde, come il mancargli di rispetto o di concorrenza sleale”.

Insomma, il progetto del nipote del boss è chiaro: non pagare e prendersi l’azienda dell’imprenditore. Nel settembre 2011 arriva una nuova proposta: l’imprenditore dovrà licenziarsi e continuare a collaborare, in attesa di riaprire, lui, una nuova azienda. Le cose non vanno così. Mangeruca non paga né i macchinari né lo stipendio. Ci sarà così una riunione tra Mangeruca, l’imprenditore e il suo commercialista. E di nuovo a regnare sono la paura e le intimidazioni. Il calabrese caccia il commercialista e al termine della riunione gli sussurra all’orecchio: “Stai attento e guardati alle spalle in quanto so dove abiti”. Ancora una volta gli accordi vengono disattesi. Di più: Mangeruca inizia a chiedere denaro all’imprenditore per contributi mai versati o corsi di aggiornamento mai fatti. L’imprenditore paga. E ancora paga. Estorsione si aggiunge a estorsione. Poi uno spiraglio di speranza. L’imprenditore spalleggiato da alcuni parenti arriva a Cornaredo, entra nel centro carni e riesce a caricare i suoi macchinari. Caricati sul camion, si parte. Ma c’è qualcuno che li segue. Un altro furgone. E’ quello di Mangeruca. Il messaggio è chiaro: o paghi oppure niente macchinari. Moglie e imprenditore escono in lacrime. “Ci ha preso per il collo”, dicono. E poi ci sono gli assegni. Tre in totale. Andati all’incasso lo stesso. A nulla servono le telefonate. Mangeruca parla chiaro: “Ti porto via la casa”.

L’imprenditore è a un bivio. Per scegliere ci vuole coraggio. Gli abboccamenti con la polizia e in particolare con il dottor Carmine Gallo sono decisivi. La vittima capisce. Peggio sarebbe stare sotto il giogo dei Mangeruca. Parte la denuncia. Ma si fa di più. L’imprenditore, su consiglio della polizia, riapre un negozio proprio nel luogo dove Mangeruca aveva detto no. E’ un segnale. Forte. Preciso. Nel frattempo la vittima cambia comune e ricomincia a vivere. L’arresto di Giuseppe Mangeruca, nipote di un boss della ‘ndrangheta, finisce così. Durante la perquisizione in casa, gli agenti si troveranno davanti a un avvocato di Crotone. Chi lo conosce? Nessuno. Non Mangeruca. Che, però, lo nomina. Chi lo ha mandato? Risponde Gallo: “Signori questa è la ‘ndrangheta”.

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