“E’ morta la prima bambina affetta da Sma1 (atrofia muscolare spinale, ndr), per colpa di questa legge che impedisce di fatto un ampliamento delle possibilità di cura compassionevoli”. E’ la denuncia del fondatore di Stamina Foundation, Davide Vannoni, che racconta all’Adnkronos Salute del decesso della piccola Sofia Pirisi di Civitavecchia, una bimba che l’8 aprile scorso aveva vinto un ricorso in tribunale per accedere all’iniezione di staminali d’urgenza a Brescia secondo il metodo Stamina.
“La piccola però è morta lo scorso 2 giugno, senza essere riuscita a ottenere la cura, perché – sostiene Vannoni – agli Spedali Civili di Brescia non c’era posto e non c’era possibilità di ampliare gli accessi”. Secondo il fondatore di Stamina la colpa di questo decesso è della nuova legge, perché “con il testo precedente, bocciato dal Parlamento, si sarebbe potuto invece ampliare la possibilità di offrire la cure. Ora è tutto sulle spalle degli Spedali Civili di Brescia, che non sono in grado di dare risposte sufficienti e si è creata una lista d’attesa lunghissima”. Il papà della bambina, riferisce Vannoni, avrebbe deciso di far causa “per omicidio volontario” agli Spedali Civili e al ministero della Salute.
Per Vannoni si tratta “del primo morto causato dalla legge” sulle staminali approvata dal Parlamento a fine maggio. “Con l’ok del giudice le famiglie hanno un diritto acquisito. Con il primo testo del Senato – spiega Vannoni all’Ansa – la bambina poteva essere curata subito. Così si sono invece allungati i tempi e speriamo che non sia la prima di una lunga serie”. Si tratta, per Vannoni, “di persone che non hanno tempo di aspettare. Così si crea un corto circuito che coinvolge bambini ed adulti e non è più una diatriba tra Vannoni e gli scienziati”. Il presidente di Stamina precisa: “non vogliamo strumentalizzare, ma ci sono centinaia di famiglie che stanno vincendo i ricorsi e con un ordine del giudice hanno un diritto acquisito che non può essere violato dallo stato. Sono casi di urgenza per terapie compassionevoli. Dall’8 aprile al 2 giugno era comunque già passato troppo tempo”.
La vicenda di Sofia era simile ad altri casi di bambini affetti da malattie rare o per le quali la scienza non ha ancora trovato una terapia. La cura a base di cellule staminali messa a punto dalla Stamina Foundation, e considerata da alcuni una delle poche in grado di produrre miglioramenti apprezzabili, era stata bloccata dal ministero della Salute e dall’Aifa perché ancora priva di riscontri scientifici e quindi considerata pericolosa. Finora, erano stati quindi i giudici ad esprimersi sulla possibilità delle famiglie di sottoporre i loro cari alla cura compassionevole come avvenuto per un’altra bimba Celeste. Poi nei giorni scorsi era arrivato, dopo polemiche e proteste, la legge definitiva che autorizza la sperimentazione. Il decreto Balduzzi era stato modificato e al centro di critiche durissime da parte della comunità scientifica su Nature.
L’approvazione della legge era stata considerata la soluzione migliroe da parte degli scienziati italiani. La legge consente a chi è già in cura con il metodo Stamina di continuare la terapia e prevede una sperimentazione di 18 mesi con fondi stanziati pari a 3 milioni di euro promossa dal ministero avvalendosi di Aifa, Centro nazionale trapianti e coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità, con il ‘paletto’ della sicurezza dei pazienti nella preparazione delle linee cellulari. E in quell’occasione Vannoni aveva criticato la scelta politica: “Esprimo pienamente il mio rammarico perché il testo che è diventato legge, al contrario di quello che era stato votato all’unanimità dal Senato inizialmente, risponde più all’interesse della comunità scientifica italiana e della burocrazia e non alle esigenze dei pazienti”.