L”affaire Ergenekon’, scoppiato durante la prima legislatura del premier Erdogan, è tuttora in corso. Nel senso che ogni settimana qualcuno finisce in carcere per avervi preso parte. Ma secondo i giornalisti indipendenti, pochi e quasi tutti in carcere con l’accusa, questa volta, di “vilipendio della Nazione” – in realtà per aver criticato Erdogan e il suo vasto entourage che influenza tutte le categorie sociali – ritengono che i militari, gli agenti dell’intelligence, gli intellettuali e imprenditori sotto accusa, sarebbero degli oppositori del premier che sta portando la Turchia nel solco delle dittature soft islamiche.
Come quello egiziano, anche se per ragioni storiche ben diverse, l’esercito della Repubblica turca avrebbe dovuto e dovrebbe inoltre garantire l’indipendenza dei poteri dello Stato. Non sempre è stato così però durante la storia della Turchia kemalista. “I militari hanno anche abusato a lungo del loro potere e molte tra le persone scese in strada in questi giorni per manifestare e che ora chiedono il loro intervento, fino a qualche settimana fa vedevano ancora di buon occhio le inchieste e le carcerazioni di alcuni di loro, anche se con accuse create ad arte dai magistrati corrotti dal premier”, racconta un giornalista che vuole rimanere anonimo.
Il problema è che l’esercito è stato zittito da anni di lavorio incessante da parte del partito islamico moderato di Erdogan, che è riuscito a mettergli il collare.
Il Fatto Quotidiano, 5 Giugno 2013