Era l’alba di un giorno d’estate del 1998 quando un giovane studente italiano poggiò la sua valigia sul selciato di una periferia di Damasco. Si sentiva “arrivato dall’altra parte del mondo”, eppure era solo dall’altra parte del mediterraneo. Questo pensò Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa da Beirut, quella mattina di 15 anni fa. Ed è con questo pensiero che comincia il suo libro ‘Siria. Dagli ottomani agli Assad. E oltre‘ (Mondadori Università), uscito da qualche settimana.
Il volume di Trombetta è una ricostruzione, eccezionale, della storia della Siria che parte dalla dominazione ottomana arrivando ai giorni nostri. Questo libro denso di date, nomi e eventi, è frutto di uno studio rigoroso che l’autore cominciò nel 2008 con la sua tesi di dottorato, discussa alla Sorbona, nella quale indagava il ruolo della propaganda nell’era del Ba’th e la struttura di potere della famiglia Assad.
La profonda conoscenza del paese che Trombetta dimostra, non deriva soltanto dallo studio storico ma è anche frutto della sua ottima padronanza, orale e scritta, dell’arabo dialettale e classico. Se è vero che gli esperti di Medioriente nostrani non conoscono l’arabo e, a causa di ciò, non possono neanche leggere un giornale in lingua, Trombetta è forse una delle poche eccezioni a questa, pessima, regola. Nel marzo scorso, insieme a un ristretto gruppo, andai a Wadi Khaled, estremo nord del Libano, per incontrare dei profughi siriani proveniente dal villaggio d’origine di mio padre. Mi trovai seduto sul pavimento di una stanza, intento ad ascoltare le prospettive, presenti e future, di questi rifugiati scappati dalla tragedia. Di fianco a me c’era Lorenzo Trombetta, unico giornalista presente, che mi stupì per la sua padronanza linguistica e che gli fece guadagnare le simpatie di quei giovani siriani che ci avevano accolto, abituati ad incontrare giornalisti che sbiascicavano tre parole in arabo.
Ho voluto citare questo episodio che mi capitò quasi tre mesi fa, perché basta guardare la folta bibliografia del volume per trovare citati decine e decine di fonti in arabo. E’ grazie alla consultazioni di questi testi che appare un quadro della Siria e della sua società articolato. A Beirut mi trovai tante volte a discutere con Lorenzo sulle prospettive del paese, sul domani, sull’oltre. Ma, quello che emerse sempre dalle nostre discussioni fu la grave mancanza di un giornalismo che non ha saputo raccontare la Siria e la sua grande tragedia che la sta riportando all’anno zero. Quell’oltre che Trombetta racconta nel suo libro, un oltre fatto di contraddizioni nella società siriani, del riemergere di mai assopiti rancori e di una società sveglia che muore soffocata nel sangue, può forse non arrivare mai e scomparire sotto gli sguardi indifferenti. A chiusura del volume c’è un messaggio -quasi parole di denuncia verso uno sguardo troppo semplicista che giudica, senza conoscere, la rivoluzione siriana- di Yara Badr (attivista siriana alawita):
Io mi trovo in Siria. Non sono mai uscita dal Paese in tutto questo lungo periodo. Non nego l’esistenza di aspetti negativi, o anche pericolosi nella rivoluzione, ma chiedo solo di non considerarli come l’unica cosa che succede in Siria, di non pensare che siano l’unico aspetto della rivoluzione. Vi prego di non farlo, perché qualsiasi rivoluzione è un movimento di società ed è una cosa grave condannare una società intera, con una sentenza assoluta.