La prima sezione annulla le condanne inflitte ai membri della famiglia Barbaro - Papalia, accusati di avere sfruttato il loro ruolo nell'edilizia e nel movimento terre dell'hinterland milanese per costituire una associazione a delinquere
La Prima sezione della Corte di cassazione ha annullato la sentenza di appello del processo seguito all’inchiesta “Parco Sud”. Si tratta del provvedimento che nel novembre del 2009 portò in carcere quelli che secondo l’accusa erano i componenti di punta delle cosche calabresi in azione nell’hinterland sud occidentale milanese e che gravitavano attorno ai noti centri di Buccinasco, Corsico e Trezzano sul naviglio.
Alcuni componenti della storiche famiglie Barbaro – Papalia furono accusati dalla Direzione distrettuale antimafia di “aver fatto parte di una associazione a delinquere di stampo mafioso”, che si avvaleva “della forza di intimidazione – proseguono i magistrati – del vincolo associativo e del conseguente clima di timore, presentandosi come prosecuzione della nota consorteria dei Papalia”. Gli stessi controllavano il movimento terra e diverse imprese di costruzione della zona, ed erano in affari anche con aziende impegnate in commesse ottenute da amministrazioni pubbliche. Il teorema però non ha retto ed ora dovrà essere rifatto un nuovo processo di appello.
Domenico Barbaro, nato nel 1937 a Platì, detto “Mico l’Australiano”, tra i massimi esponenti dell’omonima famiglia, che in appello s’è visto comminare 8 anni e 8 mesi di reclusione, una condanna considerata “mite” dal giudice della Seconda sezione penale della Corte d’Appello di Milano, oggi s’è visto la pena annullata. Stessa sorte per Salvatore Barbaro, condannato a 7 anni e 4 mesi di reclusione in appello. Per questi due ha valso comunque il principio del ne bis in idem, ovvero dato che in un altro processo (il “Cerberus”) le loro condanne erano state sempre annullate dalla Cassazione e per gli stessi reati, non potevano che subire il medesimo trattamento.
Domenico Papalia, figlio di Antonio e nipote di Rocco, due personaggi di spicco della ‘ndrangheta reggina e già condannati in via definitiva, s’è visto annullare la sentenza di appello di 5 anni e 4 mesi di reclusione, già diminuita rispetto al primo grado. Altrettanto per altri membri della famiglia Barbaro, Rosario e Francesco, che in secondo grado erano stati condannati rispettivamente a 2 anni e a 8 anni e 5 mesi di reclusione. Anche Antonio Perre, dall’accusa considerato il prestanome della famiglia Barbaro al quale venivano intestati rami d’azienda, oggi è un uomo libero, dopo l’annullamento della condanna di secondo grado a 6 anni e 4 mesi di reclusione.
Tutto da rifare, quindi, col procedimento rinviato alla Corte d’Appello di Milano ma ad una sezione differente dalla Seconda. L’unica certezza, in un’inchiesta tutta in salita, è la condanna patteggiata da Alfredo Iorio nel gennaio del 2011. Iorio era il presidente del gruppo immobiliare Kreiamo spa, azienda che s’era messa in affari con la ‘ndrangheta, motivo per il quale fu condannato a un anno e mezzo di reclusione.