Con questa accusa la polizia turca ha eseguito alcuni fermi ad Adana. Ma i messaggi "incriminati" non hanno nulla di penale: “incontriamoci a Piazza Gundogu alle 19:30”, “non andare a Piazza Losanna, c'è la polizia” o “ci stanno prendendo a manganellate”. Ma per Erdogan i social network sono una "cancrena"
“Hanno organizzato le proteste degli ultimi giorni con messaggi su Twitter e Facebook“. Con questa accusa la polizia turca ha arrestato cinque manifestanti ad Adana come riferisce la tv privata Ntv. Altri 34 sono stati fermati a Smirne il 4 giugno scorso sempre per aver organizzato presidi e cortei attraverso i social network. L’arresto dei 34 giovani di Smirne, per lo più sotto i 20 anni, aveva suscitato forti proteste in Turchia e all’estero. Il quotidiano moderato Taraf aveva pubblicato alcuni messaggi “incriminati”, come “incontriamoci a Piazza Gundogu alle 19:30”, “non andare a Piazza Losanna, c’è la polizia” o “ci stanno prendendo a manganellate”.
Alcuni giorni fa il premier Recep Tayyip Erdogan aveva definito i social network “una cancrena”. E proprio ieri notte, dopo 4 giorni trascorsi in Maghreb, Erdogan, è tornato in patria. Arrivato a Istanbul alle 3 del mattino, Erdogan ha tuonato contro i manifestanti descritti come “vandali e terroristi”, ha intimato loro di cessare “immediatamente” le proteste, ribadito il ‘no’ alle loro rivendicazioni, accusato giornalisti, artisti e politici avversari di soffiare sulla rivolta e denunciato le ‘lobby finanziarie’. Nel pomeriggio il premier ha anche polemizzato con Stati Uniti e Unione europea, paragonando la repressione feroce da parte della polizia turca e quella subita dagli indignados in Europa e Usa due anni fa.
Le parole di Erdogan hanno suscitato inquietudine e rabbia fra le migliaia di manifestanti che lo hanno ascoltato nella notte a Piazza Taksim a Istanbul, a Tunali e Kizilay a Ankara, i luoghi simbolo della rivolta. “Ha dichiarato la guerra al suo popolo”, ha reagito un oppositore su Twitter. “Ora c’è da temere una guerra civile”, ha aggiunto un altro. “Erdogan sta dando fuoco alla Turchia”, ha scritto il quotidiano Taraf.
Migliaia di militanti del suo partito islamico Akp lo hanno accolto nella notte all’aeroporto di Istanbul. Una dimostrazione di forza rivolta ai manifestanti. “Se loro sono 10mila, io posso convocare un milione”, aveva avvertito. La folla lo ha accolto con cori da stadio: “Siamo pronti a morire per te Tayyip”, ma anche “indicaci la strada, schiacceremo Taksim”.
Nei quattro giorni di assenza di Erdogan, il capo dello Stato Abdullah Gul, che sta emergendo come il suo principale antagonista nello schieramento islamico, e il vicepremier Bulent Arinc hanno tentato di aprire un dialogo con i manifestanti. Le dichiarazioni di Erdogan fanno temere però un nuovo irrigidimento, non solo a parole. Attorno a Piazza Taksim, occupata ormai dal primo giugno, da quando la polizia si è ritirata, i giovani indignados turchi hanno rafforzato le barricate difensive. Ad Ankara è prevista una nuova grande concentrazione durante il week end.
Ma se a parole la tensione è di nuovo alle stelle, sul ‘fronte’ ci sono state per la prima volta da una settimana 24 ore di quasi calma. Non ci sono stati scontri né lacrimogeni nella notte scorsa ad Ankara. Non accadeva dal 31 maggio. La polizia non ha attaccato le migliaia di giovani riuniti a Kugulu Park e a Tunali, la strada della movida rivoluzionaria. I manifestanti non hanno tentato di avvicinarsi agli uffici di Erdogan.
Tregua armata, quindi, in attesa che l’altro prenda l’iniziativa. Nessuno dei due avversari sembra però pronto a cedere. Erdogan ha confermato che il progetto che prevede la distruzione del Gezi Park – all’origine del conflitto – andrà avanti. I manifestanti dicono di essere più che mai decisi allo scontro con il ‘dittatore’ Erdogan, di cui chiedono le dimissioni, in difesa della libertà conquistata.
E il premier ieri se l’è presa anche con Usa e Europa, che criticano la brutalità della polizia turca. “Chi ci dà lezioni, che cosa ha fatto durante gli incidenti di Occupy Wall Street? Ci sono stati lacrimogeni, 17 morti. Che reazione c’è stata?”, ha tuonato. L’ambasciata Usa pochi minuti dopo lo ha smentito. “I riferimenti non sono corretti – ha chiarito su twitter – non c’è stato alcun morto”. Il bilancio della protesta turca è invece già pesantissimo. Tre manifestanti morti, 4700 feriti, 50 molto gravi. E un poliziotto ha perso la vita cadendo da un ponte mentre inseguiva i manifestanti.