“L’idea di sviluppare una proposta di legge sul web nasce dalla necessità, non più rinviabile, che il legislatore si occupi finalmente di disciplinare una materia che, per quanto vasta e per lo più non regolamentata da norme cogenti, richiede oggi un’adeguata normativa di settore. […]Il caso «Vividown vs. Google» ha, forse per la prima volta con tanto clamore, portato sotto i riflettori dell’opinione pubblica l’inadeguatezza in cui versa oggi il nostro sistema normativo rispetto ai rischi e alle enormi potenzialità della rete internet. C’è quindi oggettivamente una vacatio legis di cui il legislatore deve prendere atto e farsi carico. L’obiettivo deve essere quello di colmare tale vuoto normativo.”
Sono queste le parole con le quali l’On. Guglielmo Vaccaro (Pd), lo scorso 25 marzo (n.d.r il testo è stato reso noto solo nelle scorse ore) ha presentato ai colleghi della Camera dei Deputati un’ennesima proposta di legge ammazza-internet.
Difficile dire se si tratti di un’iniziativa più o meno preoccupante delle precedenti per la libertà di comunicazione sul web perché il testo del disegno di legge è uno zibaldone straordinariamente ben riuscito di ambiguità linguistiche e concettuali alternate ad ineguagliabili strafalcioni giuridici.
Quel poco che si capisce, tuttavia, mette paura.
L’On. Vaccaro, infatti, vorrebbe introdurre nel nostro ordinamento una nuova forma di responsabilità, addirittura di carattere penale, per gli intermediari della comunicazione [n.d.r. stiamo parlando dei gestori di piattaforme di aggregazione di contenuti, socialnetwork, forum di discussione ma anche dei blogger in relazione ai commenti degli utenti e, probabilmente, dei fornitori di connettività] che non rimuovano o non rendano inaccessibile tempestivamente ogni contenuto loro segnalato come illecito, a tutela di un non meglio precisato – forse per fortuna – “interesse all’oscuramento” di dati e contenuti pubblicati online in violazione della privacy.
Il procedimento delineato nel disegno di legge prevede che chiunque vi abbia interesse possa richiedere ad un non meglio definito “responsabile della diffusione” la rimozione di ogni contenuto che assuma pubblicato in violazione della propria privacy e che questi abbia 48 ore per provvedervi.
In caso di mancato adempimento alla richiesta, l’interessato potrà rivolgersi al Garante privacy che, nelle successive 72 ore, potrà indirizzare ai “fornitori di servizi di comunicazione e informazione offerti mediante reti di comunicazione elettronica” – altra figura di difficile definizione – un “parere non vincolante” attraverso il quale raccomandare l’oscuramento, il blocco, la rimozione o la rettifica dei contenuti pubblicati.
Toccherà successivamente ai destinatari del parere decidere se adeguarvisi o meno nelle successive 48 ore e, in caso negativo, indirizzare al segnalante un comunicazione contenente le motivazione del rifiuto di rimozione.
La mancata rimozione, a seguito del parere non vincolante e – non è chiaro perché – anche a seguito di una semplice richiesta del segnalante del contenuto eventualmente diffuso in violazione della privacy, potrà comportare, come si è anticipato, per il fornitore di comunicazione e informazione, una condanna fino a tre anni di reclusione.
Siamo davanti ad un’autentica aberrazione giuridica.
L’intermediario della comunicazione che la disciplina europea vuole libero da ogni responsabilità per i contenuti dei propri utenti veicolati attraverso i propri servizi si ritrova a rischiare la galera non solo e non tanto in caso di mancato rispetto di un parere – pure espressamente qualificato come non vincolante ed adottato in sole 72 ore – del Garante Privacy ma anche in caso di mancato adempimento alla richiesta di un qualsiasi interessato.
Sin troppo facile prevedere le conseguenze di una simile regolamentazione della materia: gli intermediari della comunicazione per non correre inutili rischi, inizierebbero a rimuovere qualsiasi genere di contenuto dietro semplice richiesta dell’interessato con buona pace della libertà di comunicazione a mezzo internet dei propri utenti.
Ci sarà tempo e modo per raccontare le molteplici altre previsioni contenute nella proposta di legge anche in materia di tutela dei minori ma, per il momento, è impossibile non annotare che in Parlamento, nonostante le tante emergenze sociali, democratiche ed economiche che affliggono il Paese, la preoccupazione maggiore sembra essere sempre la stessa: regolamentare nel modo più severo possibile la circolazione dei contenuti online con l’alibi di porre rimedio ad un’anarchia che, in realtà, non esiste.
Una legge ammazza-Internet a settimana è davvero troppo per pensare che si tratti solo di una coincidenza o di una nuova tendenza politico-istituzionale.
E’ irresistibile il sospetto che la comunicazione online inizi a far paura a troppi o, almeno, che, in troppi, non siano pronti al dialogo ed al confronto che Internet impone specie a chi scegli di far politica.
Se davvero il problema della circolazione dei contenuti online è tanto serio, si costituisca una commissione parlamentare d’inchiesta, si studi a fondo il fenomeno, si analizzi l’impatto di ogni eventuale scelta regolamentare e poi, eventualmente, si proceda ma, per carità, la si pianti di continuare a sfornare, come fossero popcorn, iniziative di legge in materia.
In gioco c’è la libertà di comunicazione, uno dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino che più condiziona la democrazia di un Paese.