Aggiornamento dell’11 giugno 2013, ore 16:25
Ricevo e pubblico la risposta del sen. Giovanardi. A breve pubblicherò anche una mia controreplica
Nicoletta Vallorani
Cara Vallorani,
Ben volentieri rispondo alla sua lettera aperta del 9 giugno motivando innanzi tutto il perché della mia “loquace attenzione” alla vicenda che ha coinvolto il povero Stefano Cucchi.
Sono più di trentanni che mi occupo di problemi legati alle tossicodipendenze e per tantissimi anni ho avuto la delega, nei governi Berlusconi per guidare il Dipartimento Antidroga della Presidenza del Consiglio.
Questo mi ha permesso di approfondire il tema sia in Italia che all’estero, fino alla firma a Washington nel luglio del 2011 di un protocollo di intesa con il Governo degli Stati Uniti in tema di prevenzione e recupero.
Conosco bene pertanto avendolo frequentato e continuando a frequentare in tutta Italia comunità di recupero e Sert il dramma delle decine di migliaia di famiglie che hanno perso un congiunto deceduto per overdose o per patologie collegate all’uso delle sostanze e delle decine di migliaia che si trovano comunque ad affrontare in casa il tema della Tossicodipendenza.
Proprio per questo, fin dal primo momento nel caso Cucchi ho posto l’accento sul fatto che la droga sicuramente aveva giocato un ruolo negativo in questa vicenda umana, soprattutto nel momento nel quale i medici avrebbero dovuto riconoscere le fragilità e le debolezze di chi aveva disperatamente bisogno di essere aiutato e non abbandonato al suo destino come fosse stato in grado di gestirsi con lucidità.
Quello che ritengo inaccettabile è quello che Lei continua a scrivere: “basterebbe il dubbio che possa essere accaduta una cosa del genere “il pestaggio” (ndr) a rendere gli agenti in questione del tutto inadatti a onorare il nome del corpo nel quale hanno scelto di servire”; su questo le ricorderò semplicemente la famosa frase di Giovanni Falcone: “il sospetto è l’anticamera della calunnia”.
Le ricordo altresì che i processi si celebrano proprio per accertare la verità. E in questo caso l’assoluzione degli agenti di custodia è avvenuta in una Corte di Assise dove oltre i magistrati togati decidono comuni cittadini estratti a sorte.
Per quanto riguarda infine le mie competenze scientifiche per determinare patologie pregresse o cause di morte, mi sono limitato a leggere con attenzione quanto descritto in centinaia di pagine dai periti nominati dall’accusa prima e dai sei superperiti voluti poi dalla Corte di Assise che hanno concluso tutti all’unanimità che il decesso è avvenuto per inanizione e cioè perché il povero Cucchi è stato lasciato morire di fame e di sete.
E quando ho usato espressioni forti per commentare quelle terribili foto che la famiglia ha diffuso, è stato comunque per condannare come inaccettabile che una persona possa finire così nel momento in cui viene affidata a strutture dello Stato.
Cordiali saluti.
sen. Carlo Giovanardi
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Gentile Senatore Giovanardi,
Ho aspettato qualche giorno. Scrivere in preda alla rabbia non è mai una buona cosa. Ho aspettato qualche giorno, ma il senso di una violazione profonda è rimasto intatto. Perciò adesso voglio parlarle di Stefano Cucchi e di com’è finita, almeno provvisoriamente ovvero in attesa dell’appello, la disanima giuridica dei fatti misteriosi che si sono susseguiti nelle ore tra il 15 e il 16 ottobre 2009, e che hanno condotto alla morte di una persona. Anche mettendo in conto che abbia commesso delitti innominabili (cosa che palesemente non è), dobbiamo considerare la sua morte come un evento luttuoso e il dolore e la rabbia della famiglia come degni di rispetto. Dunque forse lei, che dal suo scranno in parlamento ha seguito con loquace attenzione l’intera vicenda, può spiegarmi perché, alla lettura della sentenza, alcuni in aula si sono sentiti autorizzati ad alzare il dito medio, trionfanti, rivolgendosi ai familiari di Cucchi. I giornali, alcuni giornali certamente estremisti e faziosi, dicono che siano stati gli imputati a farlo.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa lei, che è così prodigo di commenti in queste circostanze. Lo è stato anche all’epoca della sentenza sui fatti di Genova, quando esprimeva, sul sito del suo partito, la sua profonda insoddisfazione per la sentenza di Cassazione, “che ha decapitato i vertici della Polizia di Stato, abbia soddisfatto la richiesta di giustizia sui fatti di Genova (…) Il bilancio, dopo 11 anni, infatti, è che nessuno di coloro che hanno messo a ferro e fuoco Genova per due giorni o si sono resi direttamente responsabili delle violenze alla Scuola Diaz, ha pagato per le sue colpe, mentre i più brillanti e capaci dirigenti della Polizia in prima linea contro la criminalità, dovranno andare a casa per un reato di falso aggravato per il quale erano stati assolti in primo grado. Con tutto il rispetto per le sentenze, penso che i veri danneggiati da questo esito giudiziario siano l’Italia e gli Italiani onesti”. Si tranquillizzi, senatore, ora come allora: i diritti degli italiani onesti vengono violati ogni momento, e direi che in buona misura questo accade per mano di chi è stato votato per governare, e dunque a questi diritti rispondere.
Oggi, a proposito della sentenza sulla morte di Cucchi lei ammette che la vittima – perché questo è: chiamiamo le persone col loro nome – aveva molti e incontrovertibili segni sul corpo. Ci sono le foto. E tuttavia aggiunge, di certo sulla base di una competenza maturata nelle spartane salette degli obitori che probabilmente frequenta, che “quelle ecchimosi sono derivanti dalla mancanza di nutrizione nella quale è stato lasciato per giorni. Tutti i segni, comprese le orbite negli occhi, sono il risultato della situazione in cui è stato lasciato. Delle botte degli agenti di custodia non ci sono prove”.
Personalmente, da donna comune, penso che basterebbe il dubbio che possa essere accaduta una cosa del genere a rendere gli agenti in questione del tutto inadatti a onorare il nome del corpo nel quale hanno scelto di servire. Ma tant’è: sono una donna semplice, e nulla so delle complessità della politica. Lei invece, senatore, è una vertigine di conoscenza. Perciò, non pago della lancinante certezza che le deriva dal suo profilo scientifico, prosegue affermando che “il povero Cucchi aveva una vita segnata dall’uso e dallo spaccio di droga. Era vittima della droga ed era stato ricoverato 16 volte con lesioni per vicende sue personali che derivavano dal mondo che frequentava. Quelle foto agghiaccianti sono di una persona non curata per una settimana, senza mangiare e bere”.
E forse si appoggia a Francesca Loy che, nella requisitoria finale, dichiara che “Cucchi era tossico da vent’anni”. Il che, oltre a identificare l’inizio della tossicodipendenza a 11 anni (una precocità straordinaria, non vi è dubbio), naturalmente spiega come uno si prenda a pugni da solo e cada ripetutamente e malamente, e soprattutto spontaneamente. Cadono come foglie autunnali, i tossicodipendenti, e quando muoiono, muoiono da soli, senza l’intervento di agenti – istituzionali e non – esterni. Lei ha molto a cuore la situazione tragica di tossicodipendenti di ogni ordine, grado e misura, tant’è che, il 21 ottobre 2008, ha incontrato Don Gallo e gli ha chiesto di diventare testimonial per una campagna pubblicitaria contro le droghe leggere. Sempre droghe sono, no? E il divieto alimenta un giro di denaro che fa bene a ogni economia, ma questo, lei ha ragione, è un altro discorso, che di sicuro non c’entra. Ed è rassicurante pensare che, appena un anno dopo, l’incresciosa, tragica e autolesionista avventura di Stefano Cucchi abbia confermato la sua preoccupazione ecumenica per i tossicodipendenti. I poveretti non sono in grado di badare a se stessi, e quel che è peggio, col loro comportamento autolesionista, finiscono per mettere nei guai gente per bene.
Questo deve disturbarla molto, poiché, nel suo ruolo di senatore dello Stato (cioè pagato da noi), dopo la sentenza lei esprime “soddisfazione per tre poveri cristi agenti di custodia che guadagnano 1200 euro al mese e hanno vissuto quattro anni di inferno fino a quando un tribunale li ha riconosciuti innocenti”. Evento che i nostri eroi parrebbero aver festeggiato con un gesto di cristallina dignità e di indubbio rigore: il dito medio, appunto. Ha ragione, senatore: 1200 euro sono pochi, e anche quelli li paghiamo noi. Però, senatore, perdoni l’insipienza, ma non avrebbe più senso battersi, che so, per aumenti di stipendio e migliori condizioni di lavoro per i molti agenti che fan bene il loro mestiere? Oppure per una selezione più accurata delle persone cui mettere addosso una divisa e assegnare una pistola e altri armamentari assortiti?
Non è che devo autorizzare il malfunzionamento delle forze dell’ordine perché son pagate poco; al più, posso ammirare gli eroi, che a dispetto dello stipendio, fanno bene il loro mestiere. E di eroi di questo tipo, mi creda, ce ne sono molti in ogni categoria di statali, di solito del tutto ignorati. In ogni dove, senatore. Tranne, purtroppo, che in Parlamento.
E la prego, senatore Giovanardi, non mi risponda: “Questo purtroppo non dipende da me”. Noi italiani questo ce lo sentiamo ripetere ogni momento, da individui in ogni gradino della scala evolutiva delle amministrazioni pubbliche e delle gerarchie politiche. Lei è pagato, e profumatamente, per assumersi delle responsabilità. La sorte non percepisce stipendio. E quella è cieca, sorda, muta e anche un po’ bastarda.
Ma con la sorte la morte di Stefano Cucchi non ha proprio nulla a che fare.