Assunta Maresca, Pupetta per i familiari, donna Pupetta per quanti adorano le madonne di camorra, è donna di mano e di spettacolo. Ama la scena, l’ha calcata anche per un po’ nel corso della sua vita spericolata. Era il 1967 e donna Pupetta recitò se stessa nel b-movie “Delitto a Posillipo”. Dovettero doppiarla, ma nel film cantò anche una canzone da lei composta: “O bene mio”. Camorra e sceneggiata, esaltazione scenica di dolore, onore, sentimento e vendetta, questa è la vita di Pupetta Maresca.
Ora Pupetta sbarca sul piccolo schermo. Ed è tutta Napoli, a protestare: questa rappresentazione della vita di Pupetta Maresca è un inno alla camorra. La scenografia, che la pessima fiction di Canale 5 non vuole, non sa e non può riprodurre, è quella di un quarantennio di camorra e potere a Napoli. Dalla camorra che sapeva di guapperia e campagna, pizzo sul prezzo delle patate e coltelli, a quella degli scafi blu e del contrabbando di bionde, fino a Cutolo. Don Raffaele, il professore, e la guerra che per tutti gli anni ’80 del secolo passato ha insanguinato la Campania.
Ecco, la storia di Pupetta è tutto questo, la storia che ha ucciso Napoli. Il volto immobile e inespressivo di Manuela Arcuri, le scenografie da cartolina e i dialoghi da telenovelas sudamericana non riusciranno mai a rappresentare questa tragedia. Hanno fatto bene i familiari delle vittime di camorra e le associazioni, i sacerdoti che ogni giorno si dannano l’anima per curare le ferite della criminalità organizzata. L’esaltazione di una romanticità che uomini e donne “di conseguenza” non hanno mai avuto. Ma Pupetta Maresca è abituata alla narrazione romantica delle sue gesta. Colpì l’Italia dei rotocalchi quella ragazza dai capelli neri come la sabbia vesuviana, gli occhi profondi, la pancia gonfia per l’attesa di un figlio, che il giorno dell’Assunta del 1955 impugna la calibro 9 e spara, uccide e vendica la morte di Pasquale Simonetti, re della camorra dell’ortofrutta, chiamato e ammirato come “Pascalone ‘e Nola”.
NESSUN processo riuscirà mai a chiarire se Antonio Esposito, la vittima, fosse il vero assassino di Pascalone, il killer mandato da Orlando Gaetano, “Tanino ‘e bastimiento”, a regolare i conti. Pupetta veniva da una famiglia di guappi di Castellammare di Stabia, “i lampetielli”, quattro maschi e lei femmina. Tutti svelti. Anche sua mamma, Dolorinda, era donna di mano. Nel 1967 l’arrestarono perché commerciava latte che allungava con soda solvay.
Ma per capire chi è davvero Pupetta Maresca, bisogna riandare con la memoria ad un giorno di febbraio del 1982. Donna Pupetta vuole parlare a tutta Napoli e ottiene dall’Ordine dei giornalisti (sì, anche questo è accaduto nella capitale della camorra), l’uso della bella villetta della stampa nella Villa Comunale. Siamo in pieno impero cutoliano, don Raffaele comanda a Napoli e fa strage di nemici. Pupetta arriva, prende a male parole una giornalista che ha scritto un articolo non gradito, e attacca. “Se Cutolo tocca i mei parenti faccio a pezzi tutta la sua famiglia”.
Nessun giornalista fa domande, solo un maggiore dei carabinieri, Roberto Conforti, la convoca in caserma per chiederle se ha ricevuto minacce. Lei lo guarda muta, come si conviene ad una lady camorra. La verità, scriveranno poi gli investigatori, è che la famiglia Maresca fa parte di un “sindacato del crimine” anticutoliano che riunisce clan importanti, da Bardellino a Nuvoletta, fino ai Zaza e ai Giuliano. Erano gli anni in cui Pupetta si unì a Umberto Ammaturo, re del narcotraffico. Due figli e un legame fortissimo che non si incrina neppure quando sparirà per sempre, forse vittima di un omicidio, Pasquale jr, il figlio che la Maresca aveva avuto dal primo matrimonio, e che non aveva mai accettato il nuovo legame della madre. Il sospetto è che a far sparire Pasqualino jr fosse stato proprio Ammaturo.
ANNI DURI, di sangue e soldi, che di romantico hanno veramente poco. Gli eroi ci sono, certo, ma non li trovi nelle fila della camorra. Per conoscere le vere eroine di questa storia, alle quali nessun network tv dedicherà mai una fiction, forse bisogna andare a Baia Verde, Castelvolturno. Qui, in una villa una volta appartenuta proprio a donna Pupetta, delle ragazze di colore hanno aperto una sartoria in cooperativa e fanno abiti con i colori dell’Africa. Era la casa di lady camorra, loro l’hanno ribattezzata la “Casa di Alice”.
da Il Fatto Quotidiano del 9 giugno 2013